Nel contenitore -che sia tela, foglio di carta o lastra di vetro- corpi apparentemente sospesi, agitati da un moto interiore. Corpi senza volto. Isolati o moltiplicati, sono il ritratto dello stesso soggetto: l’artista.
Andrius Zakarauskas (Kaunas, 1982; vive a Vilnius) fa dell’autoritratto il mezzo per esprimere la propria idea sull’arte, chiedendo a se stesso e allo spettatore che cosa voglia dire fare pittura al giorno d’oggi. “
Veicola lo stato di ansia e di perdita e l’atmosfera di falsità quando non c’è nessuna concreta direzione. Allo stesso tempo il vuoto colmato dalla melanconia e dall’inquietudine è un vitale e magico processo di pittura.”, scrive Raminta Jurenaite in catalogo. Scoperto lo scorso anno a Vienna da Elena Povellato, responsabile della Galleria Traghetto, l’artista lituano espone per la prima volta in Italia, e seguirà in maggio un’altra mostra nella sede veneziana della galleria.
Anche l’uso dei colori -vaste campiture monocrome- connotano il lavoro di implicazioni psicoanalitiche. Il blu, l’antracite, il bruno, il nero, ma anche tanto bianco, quello dei panorami innevati della Lituania, visioni consuete per il pittore. Quanto al nero, è spesso illuminato dalla comparsa veloce di altre tonalità (verde, rosa, macchie di rosso) come nei due oli
Hände Hoch I e
Hände Hoch II, dove le braccia rosa escono fuori dal buio del racconto, rimandando nella loro costruzione figurativa alla grande tradizione pittorica secentesca. Non può non venire in mente l’uso teatrale e drammatico della luce di
Caravaggio.
Zakarauskas ha una valida formazione alle spalle: alla Vilnius Art Academy ha studiato pittura, partendo dalla tecnica e guardando agli artisti del passato, a cui attinge in una sua interpretazione personale. In
Possible Sunset of My Revolution, ad esempio, la composizione della massa di corpi è il
Delacroix di
La libertà guida il popolo. Girando per i musei di Madrid -durante il soggiorno alla Miguel Hernandez Universidad di Altea, nel 2004- l’incontro con l’opera di
Goya; quanto al panorama contemporaneo, cita
Francis Bacon e
Luc Tuymans, sottolineando anche la grande influenza del cinema di
David Lynch.
Il titolo della mostra,
It is possible the sunset of my revolution, è una domanda, non un’affermazione. “
Il punto interrogativo non c’è, ma è implicito. Può essere il tramonto della mia rivoluzione? Ognuno ha la possibilità di dare la propria risposta. Tutte le opere dialogano tra loro, pur non essendo brani di una storia vera e propria”, spiega l’artista. “
Come Bacon, vedo le persone all’interno di uno spazio -il mio studio- delimitato in basso dal pavimento, che rimanda a un’esperienza reale e, in alto, dal paesaggio frutto, invece, di un’astrazione. Le figure sono sospese, sì. Ma le dipingo sempre stando all’interno del mio studio. Questo è il mio gioco. Mi sdoppio, dipingendo me stesso, ponendomi quindi sia come autore che come spettatore. Attraverso la pittura capisco. Parto da uno schema iniziale, che non è sempre chiaro, per procedere con grande libertà”.