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09
luglio 2010
fino al 12.IX.2010 Kutlug Ataman Roma, Maxxi
roma
Le contraddizioni del matrimonio forzato tra due culture, i ricordi biografici, le leggende della sua terra, la politica del controllo. Le installazioni del videomaker turco per raccontarli...
L’esposizione
di Kutlug Ataman
(Istanbul, 1961) è una delle mostre che inaugurano ufficialmente il Maxxi di Zaha
Hadid. Gli otto
lavori del turco partono da una planimetria concentrica che ruota intorno a Dome, che fa da perno alle contigue
opere.
Mesopotamian
Dramaturgies
affronta il tema dell’identità culturale turca, dell’asimmetria tra una
globalizzazione imposta e la persistenza delle tradizioni locali. Dome, ispirata alle volte delle chiese
cattoliche, è costituita da uno schermo che proietta direttamente dal soffitto
sulle teste dei visitatori, invitati a sdraiarsi su un comodo divano collocato
perpendicolarmente alla proiezione, dei giovani adolescenti turchi sospesi a
mezz’aria mentre, ammiccanti, fanno sfoggio degli ultimi brand e device della
moda e della tecnologia occidentale.
Il
coinvolgimento dell’osservatore è la parte invariante di un corpus eclettico di
video, fotografie e installazioni. Per Pursuit Happiness, racconto di un matrimonio
obbligato di una giovane donna e dell’imposta ricerca di felicità, il
televisore è posto dinanzi a un’unica poltrona, su cui il visitatore è invitato
a sedersi. In Strange Space e in English As A Second Language si è proiettati direttamente in
uno spazio schermato da pannelli che avvolgono in una visione superiore allo
standard televisivo.
Anche
laddove è il piccolo schermo a essere utilizzato, questo tende a moltiplicarsi:
Column è
un’installazione a spirale composta da vecchi televisori, omaggio al monumento
celebrativo romano. Gli innumerevoli schermi proiettano minuti interminabili di
volti silenziosi dei cittadini turchi cui è richiesto di guardare in camera.
L’apparente agio percepito da questi uomini e donne con un medium così
invadente e il mutismo risultante mostrano ancora una volta la condizione inbetween di due culture che vanno
sovrapponendosi come forzando le tessere di un puzzle.
La
visione di Journey to the Moon è dislocata in una piccola sala adiacente, ma la
continuità con le altre opere è garantito dalla scelta di una luce soffusa,
fredda come quella di un schermo televisivo acceso nella penombra, che colma
l’ambiente complessivo della mostra. Ancora una volta è un contenuto e un
significato unico quanto sfaccettato come quello dell’incontro fra Oriente e
Occidente a fare da topic: trattato metaforicamente, rendendo il contrasto fra
medium fotografico moderno e forma compositiva antica e orientale (Frame), mostrando la difficoltà di una
lingua imposta come pacchetto irrinunciabile per la comprensione universale o
trasformando intenzionalmente la proprietà di significazione di un testo in un oggetto
di visione.
In The
Complete Works of William Shakespeare l’artista copia su pellicola 33 mm l’opera omnia del
drammaturgo, facendola scorrere a una velocità che rende inutile ogni tentativo
di lettura lineare. Nella schizofrenia dell’identità turca rientra tutto il
bagaglio di realtà e finzione che Ataman porta con sé, i ricordi biografici
della sua terra, mescolando alle leggende islamiche, al sentimento arcaico e
all’invadenza moderna le politiche di una geografia reale e di potere.
Qui
Roma e Istanbul fanno a meno di un viaggio in aereo.
di Kutlug Ataman
(Istanbul, 1961) è una delle mostre che inaugurano ufficialmente il Maxxi di Zaha
Hadid. Gli otto
lavori del turco partono da una planimetria concentrica che ruota intorno a Dome, che fa da perno alle contigue
opere.
Mesopotamian
Dramaturgies
affronta il tema dell’identità culturale turca, dell’asimmetria tra una
globalizzazione imposta e la persistenza delle tradizioni locali. Dome, ispirata alle volte delle chiese
cattoliche, è costituita da uno schermo che proietta direttamente dal soffitto
sulle teste dei visitatori, invitati a sdraiarsi su un comodo divano collocato
perpendicolarmente alla proiezione, dei giovani adolescenti turchi sospesi a
mezz’aria mentre, ammiccanti, fanno sfoggio degli ultimi brand e device della
moda e della tecnologia occidentale.
Il
coinvolgimento dell’osservatore è la parte invariante di un corpus eclettico di
video, fotografie e installazioni. Per Pursuit Happiness, racconto di un matrimonio
obbligato di una giovane donna e dell’imposta ricerca di felicità, il
televisore è posto dinanzi a un’unica poltrona, su cui il visitatore è invitato
a sedersi. In Strange Space e in English As A Second Language si è proiettati direttamente in
uno spazio schermato da pannelli che avvolgono in una visione superiore allo
standard televisivo.
Anche
laddove è il piccolo schermo a essere utilizzato, questo tende a moltiplicarsi:
Column è
un’installazione a spirale composta da vecchi televisori, omaggio al monumento
celebrativo romano. Gli innumerevoli schermi proiettano minuti interminabili di
volti silenziosi dei cittadini turchi cui è richiesto di guardare in camera.
L’apparente agio percepito da questi uomini e donne con un medium così
invadente e il mutismo risultante mostrano ancora una volta la condizione inbetween di due culture che vanno
sovrapponendosi come forzando le tessere di un puzzle.
La
visione di Journey to the Moon è dislocata in una piccola sala adiacente, ma la
continuità con le altre opere è garantito dalla scelta di una luce soffusa,
fredda come quella di un schermo televisivo acceso nella penombra, che colma
l’ambiente complessivo della mostra. Ancora una volta è un contenuto e un
significato unico quanto sfaccettato come quello dell’incontro fra Oriente e
Occidente a fare da topic: trattato metaforicamente, rendendo il contrasto fra
medium fotografico moderno e forma compositiva antica e orientale (Frame), mostrando la difficoltà di una
lingua imposta come pacchetto irrinunciabile per la comprensione universale o
trasformando intenzionalmente la proprietà di significazione di un testo in un oggetto
di visione.
In The
Complete Works of William Shakespeare l’artista copia su pellicola 33 mm l’opera omnia del
drammaturgo, facendola scorrere a una velocità che rende inutile ogni tentativo
di lettura lineare. Nella schizofrenia dell’identità turca rientra tutto il
bagaglio di realtà e finzione che Ataman porta con sé, i ricordi biografici
della sua terra, mescolando alle leggende islamiche, al sentimento arcaico e
all’invadenza moderna le politiche di una geografia reale e di potere.
Qui
Roma e Istanbul fanno a meno di un viaggio in aereo.
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mostra visitata il 20 giugno 2010
dal
28 maggio al 12 settembre 2010
Kutlug Ataman
– Mesopotamian Dramaturgies
a cura di Cristiana Perrella
MAXXI – Museo delle Arti del XXI secolo
Via Guido Reni, 6 (zona Flaminio) – 00196 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 11-19; giovedì ore 11-22 (la biglietteria
chiude un’ora prima)
Ingresso: intero €11; ridotto € 7
Catalogo Electa
Info: tel. +39 063210181; fax +39 0632101829; info@fondazionemaxxi.it;
www.fondazionemaxxi.it
[exibart]
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