Nell’ultimo di una serie di tre eventi (Giochi dialettici), lo spazio Punctum propone il dialogo fra le opere di Nemanja Cvijanovic (Rijeka, 1972) e Jules Spinatsch (Davos, 1964). L’obiettivo delle due curatrici, dare vita ad un nuovo modello di esposizione, riesce pienamente. L’idea è quella di prospettare uno spazio neutro in cui le opere di due artisti possano rendersi significative a vicenda. Ai lavori è permesso semplicemente di dialogare; allo spettatore, invece spetta il compito di scovare i giochi di senso che la convivenza -e la connivenza– tra le opere è in grado di generare. Una progettualità -dall’esposizione delle opere sino alla pubblicazione a posteriori delle conversazioni in cui si sono intrattenuti gli stessi artisti- che sottintende una pratica semiotica ben precisa. Non è un caso che si faccia esplicito riferimento, nel lancio del progetto, alla “semiosi illimitata” di Peirce: per comprendere un significato, per leggere un’immagine, ricorreremo ad un’altra immagine, e così via.
La Davos di Spinatsch è un tessuto di 2178 scatti fotografici ottenuti attraverso l’uso degli strumenti di sorveglianza che penetravano i luoghi proibiti della città in occasione del World Economic Forum del 2003. Se è allo sguardo che si associa inevitabilmente il potere, svelare l’eccesso della sua presenza risulta l’unico modo per poterlo combattere. L’artista svizzero sovverte la gerarchia del controllo, punta i suoi obiettivi sui sorveglianti del Panòpticon del mondo occidentale. Uno stato di disagio, da cui il titolo della serie a cui appartiene (Temporary Discomfort), permea l’opera. Davos è silenziosa: anche il movimento temporale della scansione di attimi –che attraversano la fotografia da sinistra verso destra nell’arco di poche ore, e dall’alto verso il basso nell’arco di una settimana– non raggiunge mai un punto culminante.
Alle numerose testimonianze giornalistiche degli scontri e degli incontri nei luoghi simbolo di una politica solo apparentemente globale, a tutto quel movimento di facciata, Spinatsch oppone ciò che c’è dietro. Il movimento è solo apparente, tutto permane in uno stato di fermo, voluto dai vertici del potere. La tensione è per l’attesa di un evento già deciso: una tensione inutile.
Il disagio di Spinatsch sfocia nell’isterismo del loop del video di Nemanja Cvijanovic, dove il fermo immagine di una scena tratta dal film Salvate il soldato Ryan rompe la tensione nell’esplodere ritmico di un fotogramma, accompagnato da un sonoro scelto dall’artista. Le parole in libertà di Marinetti sbloccano il fermo immagine in un’esaltazione della violenza sonora e visiva, e portano al culmine lo svelamento della propaganda politica del realismo eroico spielberghiano. Ancora semiotica e ancora Peirce: l’inno distruttivo futurista rimanda alla funzione medesima dell’epopea tragica dell’eroismo americano del film. Un “gusto malato”, afferma l’artista.
La galleria si predispone ad un dispiegamento quasi naturale del senso indicando un percorso che dall’opera di Spinatsch, immobile, avanza verso l’opera greve, rumorosa, atroce, di Cvijanovic.
Entrambi mettono in mostra la natura “costruita” del reale. Le immagini di cui fruiamo non sono “in libertà”, nascondono bensì un demiurgo che gioca a ricomporle, come in un puzzle di accordi politici che già sanno come incastrarsi.
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chiara li volti
mostra visitata il 26 aprile 2007
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Credo che Nemanja Cvijanovic sia uno dei peggiori artisti in circolazione