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fino al 12.VI.2011 | Antony Gormley / Jamie Shovlin | Roma, Macro

di - 12 Gennaio 2011
Il corpo, questo sconosciuto. Se c’è una cosa che Antony Gormley (Londra, 1950) non ha
mai smesso di fare in trent’anni di ricerca è proprio quella di indagare il
rapporto tra il corpo umano e lo spazio circostante, muovendo dal disegno alla
scultura.

Se agli inizi privilegiava un’ironica figuratività che ritraeva
l’uomo mosso all’interno da un piccolo burattinaio (Mansion, 1982) o come un arbusto dalla folta chioma (Untitled, 1983), col tempo è passato a creare
forme astratte, nel tentativo di porre in relazione il corpo umano con altri
soggetti.

Con la luce, ad esempio, che ne proietta l’ombra nello
spazio attraverso la tecnica di carbone e caseina su carta (serie Body & Light, 1990-96) oppure con
l’anima, corpo interno in un gioco di positivi e negativi ottenuto tramite la
pressatura dell’acquaforte su carta testurizzata (serie Body & Soul, 1990).

Spesso il disegno non riesce a contenersi, sembra voler
uscire fuori dal piano bidimensionale, ruotando vertiginosamente su se stesso
per prendere forza ed emanciparsi dal foglio (serie Clearing, 2005-09). E ciò, prodigiosamente, avviene in quattro
opere che rappresentano il passaggio della linea dalla carta allo spazio reale.
Fili d’acciaio a sezione quadrata che formano materia che vive, che reagisce,
che si avviluppa vorticosamente (Feeling
Material XXXVI
, 2008). Bidimensionale o tridimensionale, disegno o scultura
che sia, è comunque sempre la linea, il tratto a essere dinamico protagonista.
Disegnare lo spazio, ma anche spazio che disegna.

Se l’ormai veterano Gormley arriva a conquistare lo spazio e
ad abitarlo con le sue linee, il giovane Jamie
Shovlin
(Leicester, 1978; vive a Londra) tende a riempirlo di oggetti e
visioni alla ricerca di un dialogo tra ciò che è vero e ciò che è solo
apparenza. Come dimostra l’omaggio che rivolge al suo film del cuore, Hiker Meat, diretto da Jesus Rinzoli negli anni ‘70.

Da appassionato collezionista, espone tutto ciò quel che esiste
di tale opera, dai costumi indossati dagli attori agli oggetti di scena, dal
copione fino ai trailer pubblicitari. Insomma, una pellicola di culto del
periodo exploitation, un B-movie dal
sapore nostalgico, denso di umori e atmosfere tarantiniane.

Tutto pare già visto, tutto sembra vero. Peccato però che
non lo sia. Perché il film, Hiker Meat,
non è mai stato girato, e quegli oggetti maniacalmente esposti non appartengono
né a quella pellicola né al passato che si è cercato di evocare. Ci troviamo
cioè di fronte a fraudolenti memorabilia,
a falsi cimeli di un trascorso mai esistito, a souvenir di un evento che non ha
mai avuto luogo. Persino la tormentata storia della sua produzione e dei tagli effettuati
dalla censura sono pure invenzioni.

Davvero labile appare il confine tra reale e immaginario,
tra vero e falso, tra presente e passato, di un’opera simile a molte altre ma
che non è mai esistita. La molto plausibile storia del film che non c’era.

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a cura di Elena Forin

MACRO – Museo
d’Arte Contemporanea di Roma

Via Nizza ang. via Cagliari (zona Nomentana-Porta Pia) – 00198 Roma

Orario: da martedì a domenica ore 11-22

Ingresso: intero € 11; ridotto € 9

Cataloghi Electa

Info: tel. +39
06671070400; fax +39 068554090; macro@comune.roma.it; www.macro.roma.museum

[exibart]

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