Isabella Ducrot (Napoli; vive a Roma) mostra alla galleria Hybrida Contemporanea i suoi
Abbracci, tutti lavori realizzati tra il 1998 e il 1999. Attraverso l’utilizzo di carte cinesi, tessuti antichi, pastelli e acrilici, l’artista ripropone in questo allestimento un chiaro percorso di ricerca che l’ha portata a indagare una materia che, se da una parte appare rischiosa perché evanescente, dall’altra è fondamentale perché profondamente radicata nell’essere umano: la sfera erotica.
Tutti i lavori esposti presentano, in modo inequivocabile e con tratti decisamente graffianti (a voler indicare ancor più esplicitamente la violenza che la sensualità può a volte assumere), numerose immagini di donne (o forse è sempre la stessa?), timide e allo stesso tempo lascive, che si accoppiano carnalmente con esseri quasi irriconoscibili, probabilmente non appartenenti a questo mondo o soltanto trasfigurati dalla passione. Queste figure si uniscono in un continuo abbraccio, lungo e silenzioso, che stringe e allenta a intermittenza la propria morsa, che passa dunque dalla tenerezza all’impeto più sfrenato.
Nel testo
Bianca di pelle, presentato per l’occasione, l’artista racconta di una donna, del tutto assimilabile a una delle figure rappresentate nei disegni: “
Misconoscere a tal punto la propria natura è ingannare sé e gli amici! Lunare è la sua natura, ma che dico, notturna, da notti senza luna, ché i raggi lunari non mancherebbero di arrossare, alterare il latteo biancore della sua pelle”. Parlare dunque con franchezza, rispettando la propria intima essenza, è l’unico modo per avere consapevolezza di se stessi: questo sembra essere lo scopo di Ducrot. E ciò appare ancor più chiaro, dal momento che qui a essere messo in mostra è proprio l’amore, nella sua visione più carnale e animalesca: l’artista lo fa senza vergogna né timidezza, impudicamente, proprio perché è in quei corpi nudi, avvinti dalle pulsioni erotiche e vinti dalla fatica del desiderio, che risiede la vita.
Ma, accanto alla vita, ciò che salta fuori da ogni opera è la morte: le pose sgraziate, i lineamenti e la gestualità indelicata dei soggetti, così come la natura ambigua di alcuni di essi, metà animali e metà esseri umani, indicano che l’amore può assumere forme tragiche e dolorose, contro le quali è impossibile opporre resistenza. L’unione di Eros e Thanatos è dunque inscindibile? L’artista ci dice di sì; anzi, sembra quasi volerlo gridare a tutti con queste opere che parlano al posto di un inconscio, il suo, finalmente liberato da ogni vincolo di segretezza.
Ducrot urla la sua verità con quanta più forza le è possibile, destinando il suo messaggio di vita a un mondo che ormai appare anestetizzato, impermeabile alle passioni, sensibile solo alle leggi del potere e della sopraffazione. Sperando che forse, magari un giorno, anch’esso possa risvegliarsi dal suo lungo sonno emotivo.