Nel 1965,
Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945; vive a Roma
e New York) concepisce
One and three chairs, comunemente considerata l’opera-chiave della prima fase artistica concettuale:
è la diretta discendente del ready made duchampiano, maturata alla luce del New
Dada di
Jasper Johns e
Robert Rauschenberg e della forma assoluta, desunta dalla Minimal Art.
A questo primo, riuscitissimo
tentativo seguono altre sperimentazioni simili, che vedono protagonisti oggetti
presi dalla quotidianità: sedie, cornici, seghe e, come in questo caso, piante.
Kosuth si è da poco trasferito a New York ed è giovanissimo – ha solo vent’anni
– quando anticipa con questo ciclo di opere le parole del più maturo collega
Sol
LeWitt, il quale
– con i suoi
Paragraphs on Conceptual Art – teorizzerà nel 1967 l’avvento di un nuovo
periodo governato dall’interesse verso i concetti di ‘idea’ e ‘progetto’ (“
L’idea
diventa una macchina che crea l’arte”), a scapito della ricerca estetica e del manufatto-prodotto
promosso negli stessi anni dalla Pop Art.
In questa prima fase analitica, Kosuth
prende spunto dagli scritti di Wittgenstein e salda quel rapporto con la
filosofia che continuerà a riemergere nel corso di tutta la sua produzione e
che, col passare degli anni, si trasformerà in un’attenzione crescente per l’antropologia.
L’opera si compone di tre entità –
la pianta reale, la mimesi dell’oggetto e il suo significato letterale – unite
esclusivamente dal significato che le accomuna, ma discostate dalla loro natura
di essere vivente, riproduzione bidimensionale e parola. In questo caso compare,
però, un aspetto che diversifica l’opera presso la Galleria Six da tutte le
altre del ciclo, ovvero l’uso di un elemento vivo.
Nel progetto per questa
installazione, Kosuth prevede infatti, differentemente dagli altri oggetti
immobili presi in esame, lo svolgersi dell’esistenza di un essere destinato a
morire. Emerge una componente destinata ad alterare ulteriormente l’equilibrio
fra i tre vertici, ma destinata a riavvicinare, attraverso la mutazione dell’opera
reale nello scorrere del tempo, il senso delle parole alla componente visiva.
La teoria di Kosuth si basa sull’approfondimento
del legame fra oggetto e parola, in una serie di rapporti logici e razionali
che si sostituiscono progressivamente alla classica fruizione dell’opera d’arte,
intesa come contemplazione estetica esclusiva. Il linguaggio è il mezzo di
razionalizzazione indispensabile per restare a galla nella marea di movimenti,
correnti e manifesti artistici che intaccano il senso della parola ‘arte’.
Rivelare l’ovvio attraverso figure
tautologiche rispecchia la volontà di descrivere la realtà, e del resto la problematica
della
mimesis rappresenta, dai tempi di Platone e Aristotele, la problematica più complessa
nella vita di un artista.
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per la prima volta in Italia il Kosuth degli albori ????? Ma la Mandis conosce Lia Rumma ???
uè, belin, ma LIA RUMMA ti dice nulla? Cosa scrivono questi collaboratori? Ma fate mai controlli sulla loro effettiva preparazione e qualità? Fate editing?!!!!