Categorie: roma

fino al 13.II.2011 | Bik Van der Pol | Roma, Macro

di - 16 Dicembre 2010
Non sta in piedi il paragone che
è stato avanzato in occasione della sua recente inaugurazione, tra la Sala Enel
del museo romano Macro e la Turbine Hall della londinese Tate Modern. Questo
perché in aggiunta alle dimensioni ragguardevoli, a ben guardare il neonato
spazio firmato Odile Decq può
vantare due ulteriori, importanti prerogative: le vaste pareti bianche di cui
dispone e la conformazione a ‘L’ della sua planimetria.

Un surplus di attributi che
consente di poter contare su un numero potenzialmente infinito di variabili
allestitive, contrariamente a quanto avviene con la pur immensa sala ubicata in
riva al Tamigi. Il che va salutato con favore, visto che per il resto
l’intervento dell’archistar francese consiste sostanzialmente nella
realizzazione di un’importante hall d’ingresso en noir, percorribile anche per vie verticali ma utilizzabile come
spazio espositivo solo molto parzialmente, e nell’inserimento di uno
straordinario auditorium nel mezzo di detta area introduttiva.

Piatto forte dell’attesa ouverture
romana è dunque l’opera vincitrice del concorso internazionale Enel Contemporanea Award 2010, ideata
dal duo olandese Bik Van der Pol (Lisbeth Bik, Haarlem, 1959; Jos Van der Pol, Arnhem, 1961; vivono a Rotterdam), cui la Sala Enel è
stata riservata per intero. Si tratta di una riproduzione architettonica in
scala 75/100 della Farnsworth House (la cosiddetta “casa di vetro” edificata
nel verde in Illinois), capolavoro minimal-modernista datato 1951 del grande
architetto e designer Mies van der Rohe,
nei cui interni – totalmente visibili dall’esterno – sono state introdotte
centinaia di esemplari di farfalle, libere di dimorare nel loro ideale habitat
naturale ricreato artificialmente.

Benché il nome Bik Van der Pol
vada associato a progetti di impronta neo-situazionista mirati alla
trasformazione di spazi pubblici, poco compatibili con collocazioni espositive
canoniche, l’opera di cui trattasi è invece valorizzata al massimo, proprio
mediante la sua sistemazione entro un contenitore vasto ma chiuso e asettico.
In questo modo viene assicurata piena leggibilità al dispositivo concettuale
inscenato, che consiste nella sovrapposizione ambientale di due radicalità di
matrice opposta: una struttura architettonico-abitativa stilisticamente “pura”,
e uno spaccato di mondo naturale anch’esso incontaminato.

Trattandosi quasi di un
happening, il ribaltamento evocato nel titolo ispirato a Escher (Are you really sure
that a floor can’t also be a ceiling?
), continua con lo shock offerto al
pubblico allorché questo, all’interno di una costruzione connotata
culturalmente come “fredda”, chiamato a introdursi nello spazio assegnato ai
lepidotteri, si ritrova sbalzato in una dimensione edenica, ribollente di
continue metamorfosi, eppure a sua volta primaria.

Nonostante il formato
magniloquente, l’intervento firmato Bik Van der Pol costituisce un gesto
artistico non retorico, ma che nel suo tendere concettualmente al vertiginoso
risulta in definitiva inesploso perché ancorato ai suoi soli presupposti
intellettualistici.

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visitata il 3 dicembre 2010


dal 3
dicembre 2010 al 13 febbraio 2011

Bik Van der Pol – Are you really sure that a floor
can’t also be a ceiling?

a cura di
Francesco Bonami

MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma

Via Nizza angolo via Cagliari (zona Nomentana-Porta Pia) – 00198 Roma

Orario: da martedì a domenica ore 10-19

Ingresso: intero € 4,50; ridotto € 3,50

Info: tel. +39 06671070400; fax +39 068554090; macro@comune.roma.it; www.macro.roma.museum

[exibart]

Visualizza commenti

  • un'opera di cui si poteva continuare a farne a meno, per l'assoluta mancanza di "valore artistico" nel senso più ampio. voler dare valenza poetica alla completa e totale finzione è una forzatura (aggiungerei anche "commerciale"). inoltre, l'utilizzo di farfalle è sempre molto ruffiano, perchè è sicura la loro presa evocativa. voler conferire forzatamente bellezza, leggerezza e vita a qualcosa di finto e costruito, è un bel giochino: il pubblico si diverte a vedere le farfalle (che tra l'altro può trovare in qualsiasi villa romana, se solo decidesse di farsi una passeggiata primaverile), ma non è niente di originale e non pone alcun interrogativo nè offre spunti di riflessione.

  • Mi dispiace tanto delle farfalle, costrette a vivere in un habitat stretto ed artificiale. Non c'è nulla da dire cara Daniela. Si tratta, semplicemente di "arte addomesticata" - legata all'entropia inquinante di un'artista carceriere. Mi domando: ma, L'ENEL non dovrebbe difendere gli ecosistemi naturali e il diritto delle farfalle a vivere liberamente nel loro ambiente naturale? Forse... è soltanto per la debolezza del nostro cervello che non ci accorgiamo di vivere già in un ambiente artificiale. Tra qualche giorno è Natale. Facciamo un gesto di amore: liberiamo questi variopinti petali di farfalle.

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