Chi si aspetta di trovare le
esasperate e intrusive manipolazioni dello spazio, per le quali
Justin Lowe (New York, 1976) è asceso alla
ribalta, non può che restare deluso. Nulla a che vedere, infatti, questa nuova
personale, con altre più o meno recenti, come la newyorchese
Black Acid
Co-op (insieme a
Jonah
Freeman), dove
installazioni ambientali selvaggiamente disparate e labirintiche, stravolgendo
l’architettura della galleria, forzano a un’esperienza lisergica altamente
interattiva.
Il disorientamento e la sorpresa,
semmai, sono qui causati dall’allestimento ai limiti del banale. Che vede una
trentina di collage di piccolo formato ordinati lungo le pareti delle sale, due
grandi tele in fondo e, in posizione affrontata, sculture a specchio. Una più
attenta lettura delle opere – a cominciare da queste ultime, disposte
all’ingresso della galleria – consente nondimeno di viaggiare, anche se
sottotraccia, nell’universo parallelo e visionario del geniale artista, mago
dell’inganno percettivo.
Gli specchi replicano il mondo, lo
duplicano creando, secondo la definizione di Foucault, un luogo eterotopico,
virtuale ma al contempo reale e connesso allo spazio che lo circonda.
Tòpos letterario e cinematografico poi
è l’apparizione sulla superficie riflettente di esseri altrimenti invisibili
quali fantasmi e/o demoni.
Ecco allora, attraverso ragnatele, emergere le
frammentate immagini del cadavere di Che Guevara e del leader Padre Yod (della
comunità Source Family) ripreso in un amplesso con una delle sue tredici mogli.
Sono le icone degli anni ‘60, in un mix inconsueto che confonde mito e storia,
i protagonisti di
The New War.
Nei collage – microfinestre
bidimensionali d’accesso all’irrazionale, dilatate nei due dipinti – Lowe mescola
figure dell’epoca della Guerra Fredda. Ritagli e frattaglie da riviste
popolari, paperback di fantascienza, di spionaggio; thriller, romanzetti, manuali
di sopravvivenza, e ancora copertine di libri di poesia, di dischi, locandine
di film e simboli legati all’alchimia, religione, esoterismo. Il risultato? Una
cifra narrativa psichedelica convulsa e avvincente, che rispecchia il
contraddittorio percorso storico-sociale e del costume degli ultimi cinque
decenni. Lo straniamento metamorfico che spia questo passaggio (percezioni,
sensazioni, reazioni) è uno sguardo che dissesta e scompone ma è anche
surreale. Per certi versi analogo agli esordi del Pop di matrice britannica:
Eduardo
Paolozzi oppure
il duchampiano
Richard Hamilton.
Attraverso la frammentazione delle
immagini, la manipolazione dello spazio e il riferimento a stili e generi
diversi, il lavoro di Lowe indaga lucidamente le connessioni tra contro-cultura
e società industriale nell’ottica di una nuova era; ma l’analisi dell’artista è
sempre controbilanciata da una visione onirica e un sottostante lirismo.