La serie dei
Coriandoli, di cui fanno parte le opere in
mostra alla Galleria Maniero, si inserisce nella produzione più tardiva di
Tano
Festa (Roma,
1938-1988), dai primi anni ’80 per la precisione, e prende lo spunto
dall’esperienza dei fuochi d’artificio sull’Hudson, che l’artista ha cercato di
riprodurre sulla tela gettando sul colore ancora fresco manciate di coriandoli.
Così, la traccia lasciata dai coriandoli è allo stesso
tempo gesto e segno e produce sugli squillanti monocromi di base (giallo,
rosso, verde) l’effetto di un’esplosione di vitalità, tanto più impressionante
perché casuale e prodotta con un intento giocoso.
Questa identità di gesto e segno riporta in un certo senso
alle soluzioni formali da lui propugnate negli anni ‘60, nelle quali è
l’oggetto stesso che condiziona l’opera. Inutile negare l’influenza che gli
artisti americani – in particolare
De Kooning,
Pollock e
Rothko – ebbero su di lui, anche se
Festa ha saputo trovare una sua via personale, aggiungendo una componente
metafisica e soprattutto molta ironia alla sua opera. In effetti, si potrebbe
azzardare l’ipotesi che i
Coriandoli assolutizzino la produzione anni ’60 dei
Cieli e rendano protagonista dell’opera
ciò che prima ne era solo elemento o complemento formale, in una sorta di
coloratissimo collage.
I lavori in mostra da Maniero non hanno titolo, ma altri
della serie hanno nomi che richiamano da vicino l’esperienza della spettacolare
visione newyorchese, ma anche offrono lo spunto per altre suggestioni, poiché citano
costellazioni e galassie. Ecco allora che lo spettatore può mutare la sua
visione e davanti ai suoi occhi si dispiegano mondi siderali e universi altri,
tutti dominati dalla presenza forte del colore.
Tutte le opere esposte fanno parte della collezione
raccolta negli anni da Liliana Maniero, che ha conosciuto personalmente
l’artista negli anni ’70 e ne ha sempre apprezzato l’opera. Tuttavia la mostra appare
più che altro un’operazione-nostalgia.
Un tentativo di sfruttare il tema dei
coriandoli e del periodo del Carnevale per ridare lustro e visibilità a un
artista ormai storico, ma purtroppo poco amato dalla critica, che ha rivalutato
e riportato agli onori del grande pubblico suoi amici e colleghi come
Mario
Schifano, ma
ancora non si è accorta debitamente del valore di Tano Festa, nella cui opera
si mescolano uno spruzzo di Pop Art, un po’ di Espressionismo astratto e
l’influsso della Metafisica dechirichiana.