L’argento riflette la luce. La materia prende forme diverse, si lascia contaminare dall’idea. Antonio Biasiucci (Dragoni, Caserta 1961; vive a Napoli) non ha fini documentari quando punta l’obiettivo sugli ex voto che riproducono varie parti del corpo umano, all’interno della cappella dedicata al medico Giuseppe Moscati nella chiesa napoletana del Gesù. Piuttosto è attratto dal valore simbolico dei segni. “A differenza delle rappresentazioni pittoriche dove spesso è rappresentato l’accaduto, insieme al santo o alla Madonna che guardano dall’alto in maniera protettiva”, spiega il fotografo, “la particolarità di questi ex voto è che il racconto è molto più emblematico. Un racconto per segni -svelati, peraltro- che trovo molto più aperto all’immaginazione.”.
Anche per Ex voto -come del resto per ogni suo lavoro- Biasiucci ha impiegato parecchio tempo. Lo aveva iniziato un anno fa per poi riprenderlo in occasione di questa esposizione al Festival FotoGrafia. Un metodo di lavoro, il suo, appreso dal regista di teatro Antonio Neiwiller (1948-1993), di cui divenne grande amico dopo aver visto lo spettacolo La natura non indifferente. “Quando Antonio decideva di preparare uno spettacolo –ad esempio su Majakovskij-, gli attori leggevano delle sue poesie, ‘adottandole’ e, successivamente, realizzando delle azioni libere rispetto alle poesie stesse”, ricorda Biasiucci. “Azioni che venivano ripetute continuamente nel corso di seminari che anticipavano lo spettacolo, diventando nel tempo tutt’altro rispetto a quello che erano state inizialmente, aprendosi così a tante altre interpretazioni. Per me è la stessa cosa, io ripetutamente torno a fotografare la stessa vacca, che mentre prima era semplicemente una vacca con il tempo diventa altro ancora. Entra in b
L’essenziale e il necessario, questi sono due degli elementi fondamentali che il fotografo di fama internazionale (vincitore nel 1992 ad Arles del premio European Kodak Panorama e, nel 2005, del Kraszna-Krausz Photography Book Awards -a pari merito, con Mitch Epstein– e del Premio Bastianelli nel 2004 con il libro Res. Lo stato delle cose) ha appreso -insieme alla reiterazione delle azioni- dal regista. Quanto all’occhio e ad una certa confidenza con la materia fotografica sono un’eredità familiare: suo padre era un fotografo di matrimoni. “A distanza di anni riconosco che nel periodo difficile in cui ventenne mi trasferii a Napoli, la fotografia fu la pratica alla quale ancorarmi per cercare di capire. E’ stata una sorta di terapia. Naturalmente le mie fotografie dovevano essere necessariamente diverse da quelle di mio padre. Mi comprai una macchina fotografica piccola che per lui che usava solo la Rolleiflex 6×6 era una macchinetta da quattro soldi, ma per me era sinonimo di libertà. Anche il mio libro “Vapori”, pubblicato quando ero giovanissimo, è tutto realizzato in controluce, esattamente come papà mi aveva sempre detto di non fare. Un gesto di rottura che si manifestava attraverso la fotografia.”.
La ricerca sulla luce questo è il grande obiettivo di Biasiucci che continua a fotografare esclusivamente in bianco e nero (stampa personalmente le sue immagini), senza mai ricorrere ad elaborazioni in camera oscura, usando il nero esattamente come fosse una tavolozza di colori.
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