Design e scultura si spostano impercettibilmente da una sala all’altra, giocando con i
Networks minimali in ferro, acciaio e lamiera forata.
Andrea Sala (Como, 1976; vive a Milano e Montréal) sviluppa così una rete televisiva di strutture parzialmente architettoniche a sé stanti, suddividendo i tre spazi espositivi in altrettanti momenti caratteristici del mezzo mediatico di levatura mondiale, la televisione e le sue trasmissioni.
Le opere, inedite e appositamente studiate per i giovani spazi della galleria, costruiscono razionalmente e concretamente l’idea di intervallo televisivo, nella prima sala, per cui gioca una mancata cattura dell’onda trasmittente; l’antenna e la sua diversificazione formale occupano così il secondo momento espositivo, seguiti in ultimo dagli speaker, concreta interpretazione formale della trasmissione vocale tele-radiofonica.
“
È come se questi oggetti formulati dalla razionalità, da quel mistico equilibrio tra forma e funzione, arte e tecnica, fossero nuovamente liberi di produrre significati, di generare altre entità, riaffermando la propria natura puramente formale”, scrive Riccardo Conti per il testo critico della mostra. L
ibere dunque dall’immaginario collettivo, le sculture di Sala si sottraggono alla libidine creativa dei
mobile calderiani, raffinandone tuttavia quella corporatura esile e appena percepibile che permette loro di ricordarli.
Anche
Intervallo 0.2 è dotato di un movimento impercettibile, come a voler invitare lo spettatore a entrare in contatto con l’opera; ed ecco che, dietro l’apparente essenzialità costruttiva, si rivela una delicata ricerca di geometrica percezione spaziale. Lontano dai concetti di una funzionalità empirica modernista, figlia di un’architettura urbanistica cosciente e affatto estetica, Sala torna sullo studio delle figure e del loro peso specifico in quanto oggetti funzionali, ma non ne trae alcun tipo di funzionalità.
Sfrutta insomma la propulsione empirica dell’architettura di
Aalto, partendo dall’
interno, e quella formale di
Le Corbusier, per soggettivarle in una personale rivisitazione della fruizione mediatica moderna: ecco che il cerchio e il rettangolo si prestano a una a-funzionalità misurata entro cui ricordare la Rai e gli anni ‘50, rispecchiandosi in quella espressività artistica che gli permette di giocare con lo spazio e con la forma, con le immagini che
Bruno Munari ha inventato, colorato, scritto, realizzato. E il silenzio che accompagna lo spettatore fra una sala e l’altra è il silenzio dell’attesa di un programma, di un nuovo cartone animato, di una talk show alla Renzo Arbore.
Eppure le aracnidi della serie di
Antenne che, ordinate, puntellano la seconda sala, intervengono sulla modernità per arrampicarsi in una forma contemporanea e improbabile, contorcendo su se stesse un educato profilo mondano di trasmissione televisiva. Prendendo in prestito la base nera circolare di quasi cinquant’anni fa.
Visualizza commenti
Bellissima mostra. Complimenti all'artista.