Bei tempi, vero? Vi ricordate? Il Phillip Winter di Lisbon Story, mentre guidava da Berlino a Lisbona, attraversando in auto un’Europa giovanissima, senza più muri, ogni confine tra gli stati percepibile solo da un cambiamento della lingua alla radio… Un’Europa nuova, pacificata, rassicurante.
E invece il mondo globalizzato, post-ideologico, forse tra poco anche post-capitalista, della «modernità liquida», per usare le parole del sociologo Zygmunt Bauman (ideale nume tutelare di questa mostra a cominciare dal titolo), ha generato un’incertezza perenne, strisciante – finanziaria, sociale, affettiva, identitaria – che ha a poco a poco iniziato a contaminare come un morbo l’esistenza di generazioni intere.
Da questi presupposti sembrerebbero nascere le riflessioni degli artisti chiamati da Ex Elettrofonica, tutti giovani variamente europei, tutti variamente viaggiatori, e come tutti i viaggiatori abituati a definire la propria identità dal confronto con le altre.
E così ci sono variopinti incastri di vestiti alla Tetris di chi ha sempre dovuto sfare e disfare valige e armadi, l’ungherese Timea Oravecz, spostandosi di stato in stato, sempre integrandosi da zero e cercando di non disintegrarsi – notevole la declinazione site specific di Instant Bag integrata proprio nell’incavo centrale della galleria.
Ci sono fantasmi della cortina di ferro, evocati in Dinner, grande disegno murale site specific della rumena Iulia Ghita, in cui è raffigurata una scena domestica e rassicurante, ma accompagnata dall’audio di un lugubre e minaccioso vociare di uccelli.
Ci sono poi le storie di immigrati o emigrati dall’Africa al centro delle attenzioni di Nikolaj Bendix Skyum Larsen, danese: forse però l’orrore così enorme dei fatti di cronaca, che ormai si susseguono a cadenza quasi quotidiana, finisce per togliere forza alle tetre sculture annegate di End of Dreams.
E poi ci sono i potenti lavori della irlandese Ursula Burke – delicate porcellane, ricami, disegni arcadici seicenteschi – da cui esce tutta la violenza e la rabbia di certe fratture così irriconciliabili e irriducibili come solo possono essere quelle in cui religione e politica ci mettono lo zampino.
E c’è un immobile osservatore, Diego Marcon, unico italiano della combriccola, con la sua vignetta animata Interlude: da un nulla circondato dal nulla nasce una tenda, e subito dopo Dick the Stick, un soldato concentrato sulla pulizia dei suoi stivali. Troppo concentrato, forse, in quel suo mondo solipsistico, autoreferenziale, senza confronti, senza confini.
Mario Finazzi
mostra visitata il 10 aprile
Dal 27 marzo al 13 maggio 2015
Displacements. The Trouble With Being Human These Days
Ex Elettrofonica,
Vicolo di Sant’Onofrio 10, 11, Roma
Orari: dal martedì al venerdì 16.00 – 20.00
Sabato su appuntamento