Non solo fotografi tout court, per quest’altra interessante proposta nell’ambito del festival di FotoGrafia : il calcio è il filo conduttore e dal calcio si parte – come da un incipit – per un intenso ritratto della realtà sociale latinoamericana.
Più direttamente e chiaramente legate al motivo calcistico sono le opere di reportage. Molto intensi gli scatti di Claudio Cruz Valderrama (Santiago del Cile, 1966, vive a Città del Messico), fotoreporter cileno che è riuscito a cogliere i momenti di scontro più forti e aggressivi fra coppie di giocatori durante il match. Un morbido bianco e nero ritrae l’intreccio dei corpi bloccati nel momento di maggiore contrasto nel corso della sfida. Mentre nelle immagini del fotoreporter Andreas Piña vengono colti i momenti di colore e partecipazione da parte del pubblico, coinvolto nell’esaltazione del gioco e della vittoria (ed è da notare anche il margine surreale, quasi onirico, evocato dal
Nei grandi quadri di Marcos Lopez (Santa Fe 1958, vive a Buenos Aires), attraverso la saturazione del colore, si crea – invece – un universo sportivo iper-reale e quasi un immaginario di icone pop estrapolate dalla vita calcistica (El Jugador, El Vestuario, ovvero lo spogliatoio e Boca, tutte della serie Pop Latino); altro filone della mostra potrebbe essere quello sociale, che vede il calcio come simbolo o pretesto per ritrarre il mondo dei bambini di strada: è questo il caso dei campetti di calcio di periferia di Eustaquio Neves (Juatuba, Minas Gerais, 1955, vive a Belo Horizonte), le sue fotografie – merito di un attento processo di stampa – hanno un aspetto invecchiato, assumono quasi la forza di immagini della memoria.
Le opere del giovanissimo artista brasiliano Eduardo Verderame (San Paolo, 1917, vive a San Paolo) prendono il calcio come pretesto per veicolare l’idea di un gioco
Splendide le immagini in bianco e nero di Miguel Rio Branco (Las Palmas de Gran Canaria 1946, vive a Rio de Janeiro): ragazzini come ombre che ballano la capoeira, si tratta di un’intensa variazione sul tema: davanti ai muri consunti della periferia. Rio Branco ce ne fa sentire l’energia, la vitalità poetica e i loro corpi sottili e scattanti sembrano quasi graffiti sui muri.
Una mostra con tanti spunti, un filo conduttore interessante per inquadrare un aspetto dell’anima latinoamericana, che riesce ad unire un gruppo eterogeneo di opere, alcune veramente valide ed altre – ad uno primo sguardo – forse meno attinenti.
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he....... si.....antonio arèvalo è un grande critico curatore riconosciuto..........speriamo che gli affidino la direzione della prossima biennale.............