Michelangelo
Merisi (Caravaggio o Milano, 1571
– Porto Ercole, Grosseto, 1610) è un artista moderno; anzi, meglio definirlo
senza tempo. Più passano gli anni – ne sono trascorsi quattrocento dalla sua
morte, avvenuta il 16 luglio 1610 nell’Ospedale di Santa Maria Ausiliatrice a
Porto Ercole: aveva 39 anni – più esce fuori la sua grandezza che sta,
certamente, nella padronanza della materia pittorica, in una poetica teatrale
giocata sulla valenza salvifica della luce, a cui si aggiungono una notevole
componente intellettuale, affinata dall’intuito e da una straordinaria capacità
comunicativa.
In
lui arte e vita sono indissolubili. La vera “rivoluzione”, come afferma Claudio
Strinati, ideatore della mostra e curatore del catalogo, “
è forse nel fatto
che il maestro parla di sé dall’inizio alla fine e interroga lo spettatore come
mai prima nessuno aveva fatto”.
Per lo storico, in particolare, il fascino del suo lavoro è racchiuso “
nella
pretesa di fare autobiografia elevando la propria vicenda a metafora
universale, proprio come fece Dante e come fece, in tutt’altro modo ma con altrettanta
evidenza, Shakespeare, suo contemporaneo”.
In
questo percorso esistenzial-artistico, Roma – dove è documentato il soggiorno
del pittore a partire dal 1594 (tra i suoi principali committenti, ricordiamo,
il cardinal Del Monte, il cardinale Contarelli, Monsignor Cerasi, la famiglia
Mattei) – gioca un ruolo determinante: la città stessa è un museo caravaggesco.
La
mostra alle Scuderie del Quirinale, curata da Rossella Vodret e Francesco
Buranelli, con le sue 24 opere di certa attribuzione provenienti da musei e
collezioni internazionali, si pone quindi come tappa di un tour più vasto che,
oltre ai luoghi solitamente accessibili, annovera l’unico dipinto murale (
Giove,
Nettuno, Plutone) eseguito a olio
sulla volta del “camerino alchemico” nella villa del Cardinal Del Monte, oggi
Boncompagni Ludovisi, aperto al pubblico per l’occasione.
Nelle
ex scuderie, l’allestimento giocato sui tre diversi colori – verde/giovinezza,
rosso/successo e grigio/fuga – dei pannelli di fondo accompagna lo sguardo,
favorendo un’immediata collocazione temporale delle opere.
È
la
Canestra di frutta (detta
anche
Fiscella), datata fine
XVI secolo, a dare il via allo spettacolo. Il dipinto, donato da Del Monte al
Cardinal Borromeo, esce per la prima volta dal suo habitat, la Pinacoteca
Ambrosiana di Milano, ideata dallo stesso Borromeo nel 1607. Al di là delle
complessità iconografiche del soggetto – la frutta, soprattutto l’uva, è
generalmente un attributo cristologico – colpisce la descrizione fotografica
della composizione, la naturalezza della pennellata che tratteggia foglie
avvizzite, acini impolverati. Volumi plastici che ritroviamo nel cesto sul
tavolo della
Cena in Emmaus (1601) della National Gallery di Londra, e in quello descritto nel
Bacco (1597) proveniente dagli Uffizi.
Nell’inventario
dei capolavori ci sono anche il complesso
Amor vincit Omnia (1602) di Berlino,
I Bari (1595-96) di Forth Worth,
Davide con la testa
di Golia (1610) della Galleria
Borghese (in cui si è voluto vedere, nella testa decapitata, un autoritratto
dell’artista). Meno convincente, sebbene fresca di restauro effettuato nei
laboratori dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma,
l’
Annunciazione (1608-1610) del
Musée des Beaux-Arts di Nancy. Troppo composta, quasi pacata e sommessa la
scena: poco “umana” la descrizione della figura femminile.
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Questa mostra su Caravaggio ha il pregio di presentare opere giuste che dialogando tra loro ci conducono nella battaglia eterna e focale dell'essenza umana:eros e thanatos, duellano sulla scena di un teatro che è la vita.Caravaggio è stato e sarà un'artista sempre moderno perchè indaga attraverso la luce e le tenenebre le due faccie dell'animo umano.