Una grande rassegna antologica, arricchita da numerosi
bozzetti preparatori di opere, celebra a Roma uno dei più popolari artisti
americani del XX secolo,
Edward Hopper (Nyack, New York, 1886 –
New York, 1967). Con realismo crudo e sincero, racconta l’America della
quotidianità, senza miti.
La gente comune della
classe media, la vera forza pulsante della nazione americana. Sulle tele,
quindi, proietta gli aspetti più intimi e borghesi del contesto urbano e
agricolo, pervasi però da una patina leggera, conseguenza inevitabile di quel
crescente senso di solitudine e alienazione che corrode e caratterizza l’intera
sua produzione.
L’esposizione romana si articola in sette sezioni, che
seguono un ordine cronologico e tematico, e vanta la presenza di ulteriori
capolavori rispetto alla mostra milanese che l’ha preceduta, come il
Self-Portrait del 1925/30.
Hopper viene raccontato attraverso le esperienze più
significative che hanno segnato la sua vita, come i tre viaggi in Europa, con
l’esperienza parigina che occupa un’intera sezione della mostra, fino all’anno
della sua morte. Nel 1968 la vedova Josephine lascia al Whitney Museum of Art
circa 3mila opere tra disegni, dipinti e incisioni. Ma quelle esposte nella
Capitale provengono anche da altri importanti musei americani, come il Brooklyn
Museum of Art di New York o il Terra Foundation for American Art di Chicago,
nonché il Columbus Museum of Art.
Se c’è un filo rosso che caratterizza quest’ultima
esposizione hopperiana è sicuramente l’accostamento dei disegni preparatori
all’opera finale; uno studio paziente e articolato, il bozzetto, frutto di una
sintesi di più immagini e situazioni colte in tempi e luoghi diversi: non una
semplice riproduzione dal vero.
Sono circa 170 le opere tra oli, acquerelli, disegni e
incisioni, che delineano nettamente un periodo “classico” che comprende il
trentennio che va dagli anni ’30 agli anni ‘50. Eccezionalmente in mostra anche
uno degli
Artist’s ledger Book, taccuini utilizzati per abbozzare molti dei suoi
dipinti; con la possibilità di sfogliarne la versione virtuale tramite un touch
screen.
A corredo dell’impianto pittorico, l’installazione
Friday,
29th August 1952, 6 a.m., New York di
Gustav Deutsch: un’esperienza interattiva e multimediale per
ricreare l’atmosfera del più celebre dipinto di Hopper,
Morning Sun del 1952.
Nelle sue tele, Hopper svela la bellezza del comune,
spesso utilizzando un taglio cinematografico, sia nei ritratti femminili (che
hanno la moglie Jo come unica modella) che nelle facciate rosse dei piccoli
negozi. Scorci di vita anche nei numerosi acquerelli, carichi di sensuali
contrasti di luci e ombre.
Numerosi i pittori, i poeti e i registi che hanno tratto
ispirazione dalle opere di Edward Hopper. Per citare un unico esempio, John
Updike, in un saggio del 1965, definisce i suoi quadri “
calmi, silenti,
stoici, luminosi, classici”.
Ma i suoi capolavori hanno anche un’altra importante
valenza culturale: la mostra di Hopper, infatti, è la testimonianza
storico-antropologica di un’epoca, quella che va dalla grande crisi degli anni
’20 al boom economico degli anni ‘60 del XX secolo.
Dopo la sede romana, la rassegna partirà verso la
Fondation de l’Hermitage di Losanna. Appuntamento dal 25 giugno al 17 ottobre.