Se la mostra
Bring me back_High di
Jessica Iapino sembrava aprire una strada apparentemente senza uscita, debole e inconcludente, lasciando un vuoto concettuale che lo spettatore stentava a colmare, la personale
Chist’è ‘o paese d’’o sole di
Angelo Bellobono (Nettuno, Roma, 1964) chiude accuratamente il cerchio, conferendo all’insieme del progetto un significato chiaro e ben preciso per lo spettatore, ma allo stesso tempo complesso e difficile da digerire per la società perbenista.
Due capitoli indipendenti ma complementari della teoria
ad alta digeribilità, proposta dal curatore Alessandro Facente, in cui si questionano i limiti del corpo e le sue conseguenti reazioni psichiche. Così, se nella prima mostra si effettuava un’analisi della malattia e del distacco del corpo, la seconda si centra sul concetto di reazione mentale. Partendo da una metafora legata all’alimentazione, in questo caso la modifica in laboratorio del latte per renderlo facilmente digeribile, il curatore analizza il rapporto tra l’immagine psicologica comunemente accettata del benessere e tutto ciò che si cela dietro quest’elaborata scenografia.
In questo modo vengono esaminate le sue grandi contraddizioni, svelando in qualche modo come il beneficio di alcuni possa derivare da un malessere, o almeno da un maggiore impegno, da parte di altri. Su questo tema s’inserisce l’opera di Bellobono, che presenta proprio nei sotterranei della nostra realtà un mondo dove non avremmo mai avuto il coraggio di penetrare e che non avremmo mai voluto conoscere.
L’inizio del percorso è segnato da una scritta luminescente all’esterno, che rimane tuttavia incomprensibilmente spenta. Una porta scende verso i sotterranei e invita ad addentrarsi in un luogo sconosciuto, dove l’angoscia e l’insicurezza provocano un lacerante malessere. Questa sensazione aumenta davanti a una porta metallica forata e socchiusa, che lascia intravedere una stanza con attrezzature sportive destinate, mediante un congegno a dinamo, a illuminare la scritta all’esterno. La necessità di un motore umano o meccanico confinato e nascosto nella penombra diventa metafora politica e sociale del bisogno di un mondo sotterraneo in grado di conservare il benessere in superficie.
Due video-installazioni della serie
Temporary runner completano il percorso, sviluppando un’utopica migrazione decontestualizzata su un territorio ignoto, in cui si analizzano non soltanto il dinamismo e la mobilità culturale delle migrazioni, ma anche le reazioni motorie in confronto a una vita passiva e apatica, carente di ogni incognita, scevra di ogni rischio.
Un progetto sperimentale, realizzato lontano dagli spazi solitamente deputati dell’arte, in cui si stabilisce una forte empatia, scuotendo e sconvolgendo ogni spettatore. Che non sarà mai più in grado di dimenticare a chi deve la propria confortevole quotidianità.
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Mi chiedo se il recensore abbia di fatto visto la mostra "Bring me back_High" di Jessica Iapino che di fatto non ha lasciato alcun vuoto allo spettatore. Al contrario di come viene descritto in questo lacunoso articolo non era debole ma ha dimostrato di essere un lavoro ben costruito e di forte contenuto e contemporaneità.
Interessantissimo inoltre il progetto e anche la mostra in questione di Angelo Bellobono.
A mio parere questo "critico" evidentemente troppo acerbo, non scrive per l'arte in quanto dimostra incapacità di assimilare e scarsa sensibilità nell'osservare i contenuti che andrebbero valutati in modo obiettivo. Leggendo altri suoi articoli sembra quasi che scriva per isterismo personale.