Tracciare latitudini di sensibilità artistica e umana risulta sempre operazione rigorosamente personale, che può lasciare il tempo che trova. E tuttavia, quando si prendano in considerazione artisti che hanno operato nell’Est Europa prima dei rivolgimenti storici che hanno decretato la caduta dei regimi comunisti, capita spesso di rintracciare un tratto comune nello slancio che li animava, quasi che, alle restrizioni imposte nelle libertà personali, questi rispondessero estendendo le proprie facoltà percettive, approfondendo sé stessi con purissima passione.
Qualche mese fa ci siamo occupati del grande incisore ceco Vladimir Boudnik, ora è il turno del pittore polacco Jerzy Stajuda (Falenica 1936 – Varsavia 1992). In entrambi i casi, l’occasione per accostarsi a queste personalità straordinarie è fornita da retrospettive organizzate dagli istituti di cultura dei rispettivi Paesi, che negli ultimi tempi stanno compiendo nelle proprie sedi romane una meritoria opera di divulgazione.
Stajuda, dunque: il suo caso appare in effetti emblematico della debordanza vitale ed espressiva di cui si diceva. Dopo una formazione accademica da architetto, Stajuda si vota alla critica d’arte, divenendo presto uno dei teorici e osservatori più acuti dell’arte polacca sin dalla fine degli anni Cinquanta. Nello stesso tempo si dedica a raffinare le proprie capacità espressive che, dopo circa due decenni di appartata concentrazione, troveranno nell’acquerello una definitiva compiutezza. Ma intanto Stajuda è anche musicista provetto (piano e fisarmonica), animatore instancabile della scena culturale polacca attraverso amicizie e collaborazioni con tutti i suoi protagonisti (dal compositore Witold Lutosławski al circolo dei poeti ‘turpisti’), erudito dagli interessi più disparati: dalla morfologia delle navi da guerra alla lirica greca, passando per lo studio autodidatta della lingua cinese.
Sotto il profilo più strettamente artistico, va innanzitutto sottolineato come la sua opera, pur riconoscendo espressamente una discendenza ‘coloristica’ da maestri polacchi della generazione precedente come Artur Nacht-Samborski e Tadeusz Brzozowski, assuma apporti importanti da esperienze fondanti dell’astrattismo contemporaneo, su tutti il prediletto Ben Nicholson.
Al di là di tali debiti dichiarati (e di una più generale influenza ideale della pittura cinese classica), l’arte di Stajuda si afferma nondimeno come vigorosamente personale, fatta di visioni ipnagogiche che l’artista traspone in primo luogo sulla carta ad acquerello, quindi procede a riportare sulla tela con colori acrilici. È importante notare come le profondità delle composizioni oniriche e dei paesaggi smaterializzati che tipicamente caratterizzano l’opera dell’artista polacco -che la mostra all’Istituto Polacco di Roma consente di cogliere appieno attraverso un’ampia selezione di acquerelli e pitture provenienti dalla raccolta di una delle maggiori collezioniste di arte contemporanea dei Paesi dell’Est Europa, Stefania Piga- risultino solcate con costanza da macchie bianche, a cui Stajuda conferisce significato strutturale per ottenere un’ambiguità dell’immagine. È un’immagine che proprio in questo modo si apre, secondo le parole stesse dell’artista, sulla nuda superficie del sottofondo, quasi a riportare alla luce tracce nascoste volte a dinamizzare l’intera composizione, simili in ciò a pause musicali disposte per approfondire i suoni circostanti dell’armonia complessiva.
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Vladimir Boudnik
luca arnaudo
mostra visitata il 14 novembre 2006
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