A chi abitualmente ha a che fare con le immagini, come
Marina Sagona (Roma, 1967; lavora a New York), viene naturale raccontarsi attraverso di esse. Il racconto, quello fatto di parole scritte, lo lascia invece a chi di mestiere le adopera. Prendendo spunto dai quadri, quattro scrittori hanno infatti narrato la casa dell’artista e, più in generale, il concetto stesso di abitare. Attraverso le mire espansionistiche a discapito dell’anziano vicino (Giovanna Calvino), le inquietudini di chi si sente prigioniero dentro le mura domestiche (Lila Asam Zanganeh), la reverenziale attenzione di quelle prese in prestito (Sharifa Rhodes-Pitts) o il rovinoso declino di chi si sentiva un padreterno e si ritrova a condividere una panchina (Antonio Monda).
In questo modo, immagini e parole si compenetrano, le une completano le altre, per raccontare quel micro-macro-cosmo che può essere una casa. Uno spazio articolato che, immancabilmente, riflette la personalità di chi lo abita e di chi lo vive. Cucina, camera da letto, soggiorno, bagno sono gli ambienti rappresentati e raggruppati su ciascuna parete, arricchiti dalla raffigurazione degli accessori, dei mobili, dei vestiti, dell’accumularsi di quotidianità.
Ambienti e accessori rappresentati con una certa cura, senza sfumature né ombre, senza profondità. Ocra, rosso, nero, verde è la ristretta gamma di colori, dalle tinte sature, utilizzati. Alcuni lavori danno una sensazione di “mosso”: è la doppia riga che contorna, come una sottile aurea, alcune forme.
In ogni racconto, l’incipit è dedicato alla descrizione generale della situazione. Ecco allora la pianta dell’appartamento, dove ciascun ambiente conserva il ricordo di situazioni passate.
Di cene, conversazioni, incontri amorosi, momenti di tristezza e gioia. Piccole figurine che, persa la loro fisionomia, diventano piatte sagome, quasi fantasmi che gravitano nelle diverse stanze. Alcune camere sono addirittura tormentate da segni che le attraversano, le aggrovigliano, le punteggiano. Come la cucina – solitamente avvertita come il cuore della casa, il fulcro del focolare, per ciò più volte ripetuta -, che è ora attraversata da cerchi, ora da nuvole, ora da una disordinata rete di tratti, tutti eseguiti con un nero denso e deciso. Linee che esprimono i diversi stati d’animo, con le loro oscillazioni, le gioie e le angosce.
Al modo di un chirurgo, Sagona sembra indagare nelle membra dell’architettura, come a volerne scoprire gli arcani segreti. Ecco allora i sifoni, le tubature, tutti quegli elementi che concorrono alla sua vitalità. Ugualmente affronta anche le proprie ossessioni e fissazioni, con la riproduzione seriale di alcuni oggetti, vestiti o pezzi d’arredamento, come i giochi di carta per bambini, da ritagliare e costruire.
Il duplice aspetto di casa come custodia e custode di ricordi è pienamente esemplificato dalla rappresentazione della biancheria: pezzi di stoffa diventano il supporto di minute figure nere degli angeli della casa. Oppure custode di macabri pensieri, laddove un profilo trova il proprio riflesso in un teschio, a indicare come la vita e la morte siano le due facce della medesima medaglia.