C’era una volta un “
gigante-bambino”, amante del fil di ferro e della
lamiera, con cui dava vita ad animali, volti, forme sempre più astratte, fino a
realizzare sculture in movimento, capaci di ondeggiare al passaggio d’aria.
L’appellativo favolistico è di Giovanni Carandente, la storia (vera) è quella
di
Alexander Calder (Lawnton, 1898 – New York, 1976), che per Roma si “sdoppia” nelle due
sedi del Palazzo delle Esposizioni e della Galleria Gagosian.
Omaggio dovuto a un artista che frequentò assiduamente
l’Italia, come documenta anche la partecipazione alla storica manifestazione di
Spoleto
Sculture nella città nel 1962, di cui proprio Carandente – cui sembra
riservato un omaggio nell’omaggio – fu ideatore.
Al Palazzo delle Esposizioni va in scena una retrospettiva
che mette in luce le ricerche di Calder sulla forma, sul movimento ma anche sui
materiali, tramite l’utilizzo di quel fil di ferro “
da torcere, o da
rompere, o da piegare”,
che diventa “
il mezzo più facile col quale pensare”, a scapito dello stesso
dipingere.
Un progetto reso possibile dalla fondazione che porta il
nome dello scultore americano, di cui Alexander S. C. Rower – nipote
dell’artista e curatore della mostra – è presidente. Le sale della kunsthalle
romana divengono così il palcoscenico ideale per raccontare tutto l’iter
dell’artista, con lo spartiacque – simbolicamente quasi alla metà del percorso
espositivo – fissato agli anni ’30 e ’40, dopo il soggiorno parigino e la
visita allo studio di
Mondrian.
Ecco qui comparire alcune delle opere fondamentali per gli
sviluppi successivi:
Object with Red Ball e
Small Sphere and Heavy Sphere, prima prova di scultura in
sospensione con l’uso di materiali di riciclo, ostacoli che generano collisioni
con la sfera in movimento. Instabilità e saldezza, imprevedibilità e controllo,
gioco e abilità ingegneristica sono le antitesi che si ripropongono in tutta
l’opera di Calder e che sembrano far capo ai titoli dei suoi lavori:
mobiles, suggerito da
Duchamp, e
stabiles, proposto invece da
Jean Arp; il frusciare dei pannelli
colorati contro la monumentalità dei lavori collocati all’aria aperta, che
hanno reso celebre l’artista in tutto il mondo e di cui sono esposte
interessanti maquette.
Un lavoro appassionato che diviene soggetto di altre
opere, quelle fotografiche di
Ugo Mulas esposte al piano superiore e piena espressione
dell’amicizia nata tra i due in occasione della mostra di Spoleto, con l’arte
del fare e l’arte del documentare che si confondono inestricabilmente.
Da via Nazionale a via Crispi, il passo è “monumentale”:
la Gagosian Gallery presenta un allestimento fondato sull’accoppiamento
mobile/
stabile che privilegia le grandi
dimensioni, con le sculture
Rouge Trionphant e
Spunk of the Monk collocate nella sala ovale. Una
mostra condensata in pochi lavori, che non si fa però mancare una serie di
gouache e due piccoli
standing mobile, sintesi della ricerca dell’artista sull’equilibrio e la
gravità.
Léger scherzava sul contrasto tra il peso di Calder e la
leggerezza delle sue creazioni. Anche se monumentali, queste suggeriscono una
nota di fragilità più organica che meccanica, e dichiarano nella loro
antifunzionalità la propria natura poetica.