Andare, tornare ed essere curiosi. Il “figliol prodigo” Paul Harbutt (Londra, 1947), dopo essere stato invitato nel 1999 all’Accademia Americana come artista in visita, nuovamente segna il passo (nel vero senso della parola) nell’Urbe. Questo perché non solo fa muovere i suoi personaggi e le sue opere nello spazio, nel tempo e nella materia, ma è egli stesso un pendolo tra la realtà artistica anglosassone (americana in particolare, avendo ottenuto la cittadinanza a metà degli anni Settanta) e quella mediterranea.
Da sempre affascinato da pittori come Piero della Francesca, Arnaldo Putzu e Renato Fratini, Harbutt reinventa temi e stili di esponenti autorevoli della letteratura inglese come Alexander Pope e Oscar Wilde. È infatti, come lo stesso Harbutt sostiene, “l’abilità di rifiutare seccamente e di rispondere prontamente” che si diffonde dalle opere del ciclo Anatomy, in esposizione a Roma da Unosunove.
L’idea che la morte sia qualcosa di terribile, la concezione di una regola evolutiva unica e immutabile, l’aspetto più gravoso della vita: a tutto ciò l’artista sbocciato nella Downtown Advertising di Londra risponde con la brillantezza e la leggerezza dei glitter e delle resine, con le “apparizioni” di moda settecentesca e lo stile da perfetto cittadino della classe media degli anni Sessanta. In mezzo a tutto ciò si incontrano topolini ciechi e probabilmente aggressivi (Three blind mice, 2006), persone che tranquillamente camminano a tu per tu con uno scheletro scintillante che sembra essere di ritorno da un video dei Chemical Brothers (Passeggiata, 2006) e due innamorati sorvegliati o stimolati da alcune statuette di incerto significato poste al centro dell’opera (Road to Rome, 2006).
Non c’è una vita dopo la morte, e non c’è neanche il contrario. Nella vita è presente la morte ed è proprio in quest’ultima che si può trovare la spiegazione della vita. Ecco il senso di opere come Skeleton in the cupboard (2006), nella quale i due elementi citati nel titolo sono, se presi uno ad uno, simboli della non-vita, mentre uniti sono protagonisti di una famosa e internazionalmente riconosciuta metafora. Non solo: un armadio vuoto aspetta di essere riempito di vestiti, svuotato in fretta e magari essere nuovamente riempito. La lisca di un pesce può essere sia immagine dell’assenza di vitalità sia fonte di spiegazione sul come la vita si impadronisce di noi e ci pervade.
L’opera di Harbutt è allo stesso tempo dinamica e statica, è una sorta di stand-by motion del creato e delle sue presunte regole: ogni passo avanti rimane comunque un passo indietro rispetto al successivo da farsi. Così come la vita e la morte si susseguono e, a volte, si incrociano lungo la strada.
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Nell'articolo in questione si cita il nome del
pittore Renato Fratini, del quale possiedo alcune opere ma non riesco a trovare alcuna altra traccia di questo artista. Vorrei cortesemente chiedere qualche indicazione.
Cordiali saluti
Denise Lancia