Con cifra tonda, la rassegna biennale di arte contemporanea Arteinmemoria celebra, quest’anno, la sua decima edizione. Curata dalla tenace Adachiara Zevi e allestita tra le rovine della Sinagoga di Ostia Antica, come per le precedenti esposizioni, sono stati coinvolti artisti che hanno realizzato dei lavori specificatamente per l’occasione. Pur prendendo spunto dal progetto Sinagoga di Stommeln (l’iniziativa ospitata nel Tempio del comune di Stommeln-Germania, sopravvissuto alla Notte dei Cristalli solo perché la comunità ebraica lo aveva venduta ad un agricoltore come magazzino) che, dal 1991, invita ogni anno un artista a realizzare un lavoro per una stanza, Arteinmemoria si differenzia dal progetto tedesco per alcuni sostanziali elementi. Dalla sua prima edizione del 2002, Arteinmemoria ha una cadenza biennale, anziché annuale. Il luogo prescelto è la Sinagoga di Ostia antica, la più antica testimonianza archeologica dell’Ebraismo della Diaspora in Occidente. Il titolo, tra l’altro strettamente correlato al periodo in cui la rassegna si svolge, mette in stretta relazione l’arte con la memoria, o meglio, con la storia. Non solo un dialogo tra l’arte contemporanea e l’arte del passato; ma anche con la storia in generale, perché prende parte al Giorno della Memoria, la giornata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per commemorare le vittime della Shoah, fissata il 27 gennaio, allorquando nel 1945 l’Armata Rossa varcò i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, scoprendo l’orrore della “soluzione finale della questione ebraica”. E, non da ultimo, il numero di artisti invitati, quattro anziché uno, che, di volta in volta, si sommano ai precedenti, raggiungendo, quest’anno, il totale di cinquanta artisti, di generazione e, soprattutto, di nazionalità diverse, consegnando, così, un respiro più internazionale all’intera manifestazione. Che, lentamente, sta formando e costruendo un museo all’aperto, attraverso quei lavori che, alla conclusione della mostra, gli artisti scelgono di donare e lasciare installati in quest’area. Infatti, si possono qui ammirare le opere permanenti di Sol LeWitt (2002), Gal Weinstein (2002), Pedro Cabrita Reis (2005), Lawrence Weiner (2007), Liliana Moro (2011), Michael Rakowitz (2013), Stih & Schnock (2015), Horst Hoheisel (2017) e Ariel Schlesinger (2017).
Come nelle precedenti inaugurazioni, l’ingresso si sposta dal principale a quello secondario e così, appena superato il grande cancello, la prima opera che si incontra è Dove sono finiti? di Zbigniew Libera (Pabianice, 1959-Polonia). Di forte impatto e di grandissima suggestione, il lavoro del polacco consiste in un pezzo di binario ferroviario lungo 30m, installato nell’ampio campo che circonda questa porzione di resti archeologici. È pressoché superfluo enunciare e elencare i tantissimi rimandi e associazioni di idee che una simile opera evoca e stimola, ancor di più nel vedere che una parte di questo binario è inghiottito dal terreno, come se continuasse il suo percorso nelle viscere della terra, sottolineando maggiormente l’incognita sulla destinazione o fine che molti di quegli esseri umani, ammassati su quei tristi vagoni.
Ruth Beraha, GOLIA, 800X300cm ph OKNO studio
Seppur con un vago sapore didascalico, Capitelli disseminati/Vasi comunicanti di Nobert Hinterberger (Altmünster, 1949-Austria) è allestita tra le quattro colonne superstiti della Sinagoga, a evidenziare l’assenza, appunto, dei capitelli, benché esistenti, come si apprende da vecchie foto. Degli enormi libri (che immediatamente richiamano la Torah), con le copertine e i fogli bianco latte, abbandonati e lasciati sotto le intemperie, a terra o poggiati su dei vasi di terracotta spezzati (che richiamano la Kabalah: l’espansione di Dio con la Creazione, contenuta nei vasi che una catastrofe spezza, generando il caos). Su questi vasi, sono incisi i nomi dei luoghi dove erano o sono presenti le più importanti sinagoghe (Gerusalemme, Addis Abeba, Recife e Berlino). I tre grandi tomi bianchi lasciano spazio per immaginare quei volumi ormai con una storia cancellata o con una storia tutta da ri-scrivere con nuove premesse.
Sembra un angelo caduto la gigante sagoma tracciata e scavata nel terreno da Ruth Beraha (Milano, 1986-Italia). Golia, il titolo dell’impronta di 8m, richiama la celebre storia di Davide e, appunto, Golia che, però, la storia dell’arte ha praticamente tralasciato di rappresentare. Infatti, è sempre il piccolo Davide ad essere rappresentato con la sua fionda. E quest’impronta, che sostanzialmente sposta l’attenzione sul gigante, vuol ricordare quanto, anche una piccola e anonima pietra, può provocare, ancor di più se mossa da ideali di riscatto e di resistenza sociale.
Meno riconoscibile, di primo acchito, è l’opera di Karyn Olivier (Port of Spain, 1968-Trinidad e Tobago). Il silenzio è la barriera per la saggezza è una grande parete di legno, nera, allestita sull’inferriata di recinzione del sito, oltre la quale corre via di Tor Boacciana, sulla quale le macchine sfrecciano veloci. Delle scatoline approntate su questa parete, contengono dei gessetti, con i quali è possibile affidare un proprio messaggio, che stimola l’istinto di lasciare la propria traccia e, allo stesso tempo, richiama anche l’usanza ebraica di lasciare una pietra sulla tomba di un defunto. Una parete che materialmente formalizza il titolo, ad indicare che le barriere sono il primo segnale della chiusura e della possibile implosione di una civiltà e l’abbrivio a possibili lotte per la conquista degli spazi. Si può scrivere un messaggio consolatorio o di condivisione su un tramezzo che isola, protegge e fa da contraltare ai tomi bianchi, interpretabili come libri cancellati.
Sebbene alcuni lavori appaiano didascalici, riescono a raccontare storie, attivare rimandi, mettere in moto l’immaginazione. Energia che il luogo stesso partecipa a generare. Infine, esporre opere di arte contemporanea in un luogo carico di storia e valore archeologico, significa, non solo unire l’oggi con la memoria, ma riaffermare che la cultura è lo strumento principale per eliminare quelle forme di intolleranza che, camaleonticamente, si ripropongono nel corrente presente. Una mostra, dunque, che oltre ad offrire l’occasione di rivisitare gli scavi di Ostia Antica, di passeggiare tra le incantate rovine romane, invita a una lettura introspettiva e a interrogarci sul nostro presente.
Daniela Trincia
Mostra visitata il 20 gennaio
Dal 20 gennaio al 14 aprile 2019
Arteimemoria 10
Sinagoga di Ostia Antica,
Viale dei Romagnoli 717, Ostia Antica, Roma
Orari: dal martedì alla domenica dalle ore 8.30; lunedì chiuso