Più che una personale, questa di Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940) -allestita nei due spazi romani della Galleria dell’Oca- ha il respiro e l’imponenza di una retrospettiva.
La mostra comprende alcune installazioni site-specific –Misurazione di corpi celesti, Capta segnali e Scrutare il cosmo – insieme ad alcuni lavori storici – Centro vitale frontale, Trucioli e calamita, Alfabeti primari, Giorno e notte, Lente solare. Il percorso espositivo si apre con Alfabeti primari, realizzata per la Biennale di Venezia del ‘72: dieci epigrafi alte due metri, ricavate dalla fusione di alluminio e antimonio, spiccano sulle pareti della stanza con totemica solennità. L’artista le ha incise con i caratteri di alfabeti arcaici, a sottolineare l’origine ancestrale della prassi semiotica, strumento primario d’interfaccia comunicativa.
Misurazione di corpi celesti (2003-04) è una tenaglia di ferro biforcata nello spazio e fissata ad una calamita; le estremità ricurve si dispiegano come antenne, tese a registrare le pulsazioni del cosmo e a descrivere il suo tracciato invisibile. Analoga è la tensione che permea Centro vitale frontale (1968): una lastra di vetro da cui scaturisce un cono di diamante in acciaio inox, conficcato nel muro all’altezza dello sguardo. Alla fragile precarietà del vetro si contrappone il taglio acuminato della punta d’acciaio, che indica il moto vettoriale e progressivo, innescato dalla matrice inesauribile del pensiero.
Sul lato opposto, Mattiacci ripropone Trucioli e calamita (1968-69), esemplare delle prime ricerche svolte con questi materiali. La limatura metallica si dispone all’angolo della stanza, attratta da una calamita che funge da scheletro immateriale dell’opera: tale processo implica la materializzazione dell’oggetto scultoreo, liberato dall’archetipo della forma e ridotto a pura energia. Lente solare (1987-88), ideata per la kermesse veneziana del 1988, costituisce, a sua volta, un dispositivo funzionale a recepire, amplificare, diffondere l’intensità termica e luminosa del sole. Una trave di metallo fissata al muro, lunga cinque metri, sorregge un disco concavo, al centro del quale è posta una calamita collegata ad un filo di rame per il passaggio dell’energia. Il flusso dei fotoni è visualizzato tramite il congegno messo a punto dall’artista, simile all’armamentario di un gabinetto scientifico. La parabola cosmologica di Mattiacci si chiude con le opere gemelle Capta Segnali (2003-04) e Scrutare il cosmo (2004) allestite, rispettivamente, negli spazi di via della Mercede e via Margutta. Le sculture sono dischi di ferro magnetizzati da calamite e orientati verso il cielo: strumenti consoni a intercettare l’armonia delle sfere celesti e il moto perpetuo dell’universo.
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