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fino al 14.V.2010 | George Brecht | Roma, Auditorium Parco della Musica

di - 27 Aprile 2010

L’organizzazione è minimale, l’infrastruttura quotidiana e
apparentemente statica, fatta di sedie, tavoli, scale a pioli, per un evento la
cui realizzazione è affidata di volta in volta al caso, nel ripetersi delle
attivazioni di chi vi si imbatte e comincia a parteciparvi.
Porre il caso alla base della propria ricerca creativa è
moltiplicare le possibilità dell’arte, in una produzione che si fonde con la
fruizione, dando luogo a un lavoro che non è rappresentazione, non è il
rispecchiarsi della vita, ma un continuo scambio, fino a raggiungere una
confluenza delle due, in cui lo spettatore non fronteggia l’opera ma può porsi
dalla sua stessa parte, addirittura partecipandola.
Come nota Cecilia Casorati, George Brecht (Blomkest, Minnesota, 1924 –
Colonia, 2008) dà la possibilità di liberarsi dal pregiudizio secondo cui il
senso di un’opera sta al di là di ciò che vediamo, e dunque di decidere di “fare
esperienza
”.
Queste opere potrebbero anche apparire Dada se lo spettatore vi ruota attorno
circospetto, con l’idea che il luogo e la volontà dell’autore abbiano conferito
loro la connotazione d’arte. Sono Fluxus nel momento in cui ci si passeggia in
mezzo, coi propri pensieri e associazioni, sedendosi a un tavolo, riempiendo un
bicchiere, mischiando un mazzo di carte, compiendo tutta una serie di gesti non
per forza previsti dall’autore: l’obiettivo infatti non è formalizzare l’opera,
ma offrire tracce di creatività diffusa.
Un’operazione di democrazia artistica abolisce il distacco
derivante dalla specializzazione dell’artista: tutti sono creatori, secondo
George Brecht, e quindi l’artista è uno come gli altri. Potrebbe apparire un
eccesso di modestia, ma è pura onestà intellettuale da parte di chi, citando Tristan
Tzara
, non si fa
scrupoli nell’affermare che “la vita è di gran lunga più interessante” dell’arte. Nell’intervista
riportata sul catalogo della mostra, Brecht smonta battuta dopo battuta il
concetto di arte, dichiarando di non partire da essa nel proprio atto creativo,
né da una classificazione d’importanza degli oggetti e dei fatti che cadono
sotto la sua osservazione, di non porsi il problema dell’originalità: “Tutto
scorre
”, per cui
è impossibile fare qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo tutto è nuovo.
Il senso di rassegnato nichilismo che deriva dal non
rischiare mai una definizione e da un relativismo a tratti disturbante viene a
un tratto spazzato via dal confronto con Duchamp, che porta finalmente l’autore a
illustrare uno dei principi fondanti delle proprie operazioni creative: “La
differenza tra una sedia di Duchamp e una delle mie potrebbe essere che la sua
è un piedistallo, mentre la mia può essere ancora usata. Nel mio caso è
esplicito: è possibile sedersi
”.

È arte concettuale, che sorge dall’elaborazione di un
pensiero che mette da parte il bisogno artistico istintivo di espressione
afferratrice, per aprirsi a una costruzione partecipata non vincolata. Brecht
nega l’intenzione di influenzare e comunicare, eppure si può cogliere nella sua
opera un’idea di sviluppo sociale, già riassunta nel titolo della mostra
organizzata da Achille Bonito Oliva nel 1990 alla Biennale di Venezia: Ubi
Fluxus Ibi Motus
.
Basta questo a motivare il ritorno di Fluxus: la necessità
di un’arte che si rigeneri nella continua offerta di spunti alla creatività. Un
paio di esempi attuali? Nico Vascellari, Cesare Pietroiusti

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anita fumagalli
mostra visitata il 7 aprile 2010


dal 7 aprile al 14 maggio 2010
Fluxus
Biennial – George Brecht
a cura di Achille Bonito Oliva
Auditorium – Parco della Musica
Viale Pietro De Coubertin, 34 (zona Flaminio) – 00196 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 17-21; sabato e domenica ore 11-20
Ingresso libero
Catalogo
Produzioni Nero
Info: tel. +39 0680241436; info@musicaperroma.it;
www.auditorium.com

[exibart]


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