Sono già passati ben due anni da quando l’artista torinese Aldo Mondino (1938-2005) è scomparsp, dopo oltre quarant’anni di “onesta professione”. Professione che è anche la memoria del suo percorso umano, artistico e religioso, testimoniato da ogni opera. Mondino ha sperimentato tecniche e materiali -spesso inusuali, come lo zucchero, le caramelle e il cioccolato- e stili tra i più disparati, passando dal figurativo all’aniconico, dall’arte povera al surrealismo, fino ad approdare ai noti temi orientaleggianti dopo la folgorazione sulle vie del Souk di Tangeri. Folgorazione che gli ha fatto avvicinare mondi solitamente opposti, come il sacro e il profano, l’islamismo e l’ebraismo (di cui ha origini da parte materna). Temi questi, dei quali ha finemente colto l’essenza e che hanno gli hanno permesso di creare quella sua inconfondibile sigla, sempre percorsa dal desiderio di stupire di provocare. L provocazione è nei mezzi utilizzati, ma anche nei titoli.
Dumauntai, nome della scultura in marmo che dà il benvenuto alla personale romana, è stato adottato volutamente come titolo della mostra perché, in una sola parola, è contenuta la sintesi dell’agire dell’artista. Perché la sua arte, come spiega Paola Ugolini, è spesso generata “dalle associazioni verbali”, dalla parola, dai singoli vocaboli. E, altrettanto spesso, dal difetto ottico, che da lontano fa fantasticare su qualcosa che da vicino è, invece, tutt’altra. Prelevato dal dialetto delle sue origini, “dumauntai” significa “diamoci un taglio”. Che ulteriore spiegazione si può dare se è stato utilizzato come titolo di una raffinata scultura in marmo che rappresenta due sorelle siamesi -di nome e di fatto- unite all’altezza della spalla?
La mostra è un diario nel diario, perché con pochi elementi traccia il racconto di un intero arco temporale, caratterizzato da alcuni momenti significativi. È il caso di Arabic, l’enorme lampadario ispirato a quello delle moschee, ma anziché con pendagli in cristallo, è decorato con penne bic. Opera, questa, già esposta nel Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 1993, insieme a Turcata, l’olio su linoleum con gli ipnotici e leggeri dervisci roteanti su se stessi.
In piccole teche stanno poi adagiati preziosi gioielli, realizzati dal maestro orafo Mirko Baroso su disegni di Mondino. Ed è come se i soggetti dei suoi quadri avessero acquisito una corporeità tridimensionale sotto forma di orecchini, anelli e gemelli. I grandi pannelli Iznik, che riproducono, come su una coloratissima scacchiera, i celebri manufatti in ceramica turca attraverso la pittura su vetro, vengono riportati in un anello e in una coppia di gemelli.
Anche il Turbante, in ceramica viene trasformato in una coppia di gemelli, mentre Arabic viene mutato in un collier. Tutto questo, per non sfuggire al luogo ormai comune, è il “mondo di Mondino”.
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