Momenti diversi della lunga vicenda artistica di
Bill
Beckley (Hanburg,
Pennsylvania, 1946; vive a New York) convivono
lungo le pareti delle due gallerie dello Studio Trisorio. La sede romana ospita
quattro fotografie a soggetto vegetale, realizzate tra il 1969 e il 2007.
Contemporaneamente, la sezione napoletana dell’esposizione include altri sei cibachrome
dal 1974 al 2006, e in alcuni dei quali trovano posto anche scritti
dell’artista.
La graduale riduzione del gap tra parola e immagine è
infatti uno degli eventi centrali dell’arte del XX secolo, e il movimento
concettuale arriva anche alla consacrazione del testo puro, senza aspetti
visuali. Questa sovrapposizione del piano figurativo e letterario ha connotato
il lavoro di Beckley fin dall’inizio degli anni ’70,
quando si fece pioniere
della Narrative Art, evolvendo poi dalla presenza fisica del testo nelle
fotografie fino a una sua partecipazione solo allusiva, limitata all’evocazione
di simboli ideogrammatici, spesso ricercati nelle forme naturali.
Lo studio dei fiori costituisce in questo senso un tema
costante, su cui la galleria romana si sofferma.
Roses Are… (1974) si articola in tre aree di
colore piatto, percorse verticalmente da steli rigidi come corde tese e da una
traccia di cristalli. Sembra derivare direttamente dalla ricerca di
bidimensionalità della Scuola di New York, culminata nelle cerniere verticali –
le
zip – di
Barnett
Newman: bande su
fondi monocromi che rifuggono sia l’idea di astrazione, sia quella di
rappresentazione, e incorporano solo separati e autonomi modi di sentire.
In galleria giganteggia
Station 9, un campo scuro su cui si staglia
un sensuale intreccio di gambi vegetali, elemento della serie
Fourteen
Stations (2001),
mentre sulla parete di fondo il movimento di alcuni fiori scossi da una vibrazione
produce scie evanescenti (
Dervish 11,
2007).
Quelle descritte sono solo alcune componenti del
linguaggio di Beckley, in cui i dettagli solitari della realtà possono
comparire talvolta isolati, come lemmi di un dizionario, tal altra coniugati in
frasi iconiche, oppure incastonati nei testi provocatori che caratterizzano la
sua prima produzione.
La tensione è sempre rivolta alla ricerca del sublime
nella bellezza, al di fuori dei canoni della stessa arte concettuale, nella
quale Beckley non desidera rimanere confinato. La ripetizione dei medesimi
soggetti diviene testimonianza della ricerca d’una sintesi geometrica assoluta,
di una catarsi dall’ornamento, di una smaterializzazione degli oggetti, alla
stregua dell’operazione di cui fu artefice
Giorgio Morandi e che Beckley dichiara di
assumere a modello.
Con risultati che, talvolta, per effetto della coincidenza
degli opposti, sembrano porsi in relazione addirittura con le visioni vegetali
di
Karl Blossfeldt.
Ma in Beckley producono l’antitetico effetto di deflagrazione integrale
dell’oggettività della natura.