Potrebbe sembrare un ossimoro
parlare della “musica del silenzio”, ma è l’effetto che, con le sue opere,
Guido
van der Werve (Papendrecht, 1977; vive ad Amsterdam) crea, trascrivendo in note il linguaggio
silenzioso del paesaggio. E la sala da concerto di questa musica è quella
immensa della natura.
Anziché trovarsi “
al di sopra
del mare di
nebbia”, il
viandante-van der Werve continua il suo vagabondaggio, in luoghi carichi di
significato. Sembra così fornire un prima e un durante, e quindi movimento, alla
staticità dell’uomo di spalle di
Caspar David Friedrich. Ma, neanche troppo velato, il
rimando è al padre del caos,
Marcel Duchamp, il giocatore professionista di
scacchi. In questa mostra sferica, continui sono i rimandi e diversi media
concorrono a costruire un lavoro dove ogni elemento è a se stante e parte
integrante del tutto.
Il video, della durata di 45
minuti, è la ripresa del viaggio dell’artista in quei simbolici panorami dove
la musica completa il paesaggio e accompagna i movimenti del “pezzo” sulla scacchiera
della natura. Un video per realizzare il quale l’artista ha impiegato un paio
d’anni e il cui titolo (
Nummer twaalf, Varations on a theme: the king’s
gambit accepted, the numbers of the stars in the sky and why a piano cannot be
tuned or waiting for an earthquake) è già un’ampia spiegazione del lavoro nel suo insieme:
l’essenziale è l’impegno che ciascuno è disposto a mettere nell’agire
quotidiano della vita.
Un filmato che si costruisce col
susseguirsi di una sorta di tableaux vivants, che rispondono alle diverse
coordinate delle mosse di scacchi che, a loro volta, corrispondono ai diversi
passaggi musicali. Coordinate che sono digitalmente trascritte in basso e il
cui variare accompagna una impercettibile variazione dell’immagine.
Van der Werve si muove dal
Marshall Chess Club di Manhattan (lo stesso frequentato da Duchamp) al vulcano
Sant Helens, alla valle di Sant’Andrea, sulle note del
Concerto per
pianoforte in A minore e in tre movimenti composto dall’artista stesso. Un concerto suonato
con un pianoforte particolare, costruito anch’esso da van der Werve, che in
realtà è una scacchiera, in cui le caselle corrispondono a specifiche note,
quelle che servivano per il concerto.
La partita a scacchi prende avvio
dalla suicida mossa
king gambit e continua seguendo lo spartito, tradotto in mosse da un
affermato campione di scacchi, il
grand master Leonid Yudasin.
Sulle pareti intorno al
“pianoforte”, alcuni still dal video, in medio formato, corrono come un nastro.
E replicano, in sintesi, il racconto del vagabondaggio dell’artista.
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La premessa non è male ma non è un po' cervellotico l'output di questo progetto?