Quella di
Matteo Fato (Pescara, 1979), distribuita fra
le sedi di Roma e Pescara della Galleria Cesare Manzo, è una mostra importante:
non si sa quanto consapevolmente, ma del resto le sorprese fanno parte del
gioco, prima di tutto per gli stessi artisti.
Intanto, pare doveroso dar atto
della profondità di tempo dedicata da Fato all’operazione, quasi cinque anni,
che – a maggior ragione tenuto conto dell’ancor giovane età dell’artista –
svelano una necessitĂ di chiarificazione personale assolutamente rigorosa
rispetto a una ricerca che mescola con autorevolezza intenzioni processuali e
resa artigianale, mezzi diversi (pittura, video, scultura, installazione),
tensioni tematiche composite e a prima vista anche inconferenti.
Andiamo con ordine, a partire
proprio dai soggetti adottati dall’artista e a fronte delle loro modalità di
realizzazione. Nel 2004 Fato si è concentrato sull’osservazione delle rondini
in volo nel cielo di Pescara, trascrivendo le sue immediate osservazioni in una
ponderosa collezione di pitture a china su carta (accumulazione a cui Fato non
è peraltro nuovo, avendo già realizzato nel 2006 una serie di oltre mille
autoritratti). Un anno dopo l’artista realizza in studio, senza alcuna
osservazione, un nuovo gruppo di chine (caratterizzate da una forma circolare,
come un’idealizzazione della memoria), quindi filma in maniera prolungata il
volo delle rondini e passa gli anni successivi a rielaborare l’insieme in un
progressivo approfondimento stilistico e formale.
Gli allestimenti delle due sedi
espositive comprendono infine l’ampia quantità di materiale derivato
dall’operazione: alle chine, presentate sia a muro che depositate su plastici
planimetrici (quello di Roma è la mappa della galleria di Pescara e viceversa),
si aggiungono postazioni video e, nel caso di Roma, una sala con alcune
sculture di neon filiformi che riproducono una serie di segni d’interpunzione.
Assumiamo ora il cielo come un
foglio, le rondini per punteggiatura dello spazio compreso tra presenza e
ricordo, le traiettorie del volo a tracce calligrafiche di leggerezza area, le
sculture di elementi tipografici quali scansioni materiali di una lettura
complessa, dove il disordine visivo contiene un ordine formale che appare
intermittente nell’oscurità dei sensi.
Bene, studi recenti di fisica
statistica mirano a scoprire nel volo degli stormi di storni le ragioni interne
dei sistemi aggregati e delle interazioni topologiche fra esseri viventi; dal
canto suo, l’arte di Fato si muove con lievità di rondine ai margini di simili
nuclei di significato, svolgendosi in un ritmo concettuale che, nell’abbassare
gli occhi dal cielo alla terra, rimanda all’interpunzione tipografica come a
una necessaria disciplina per la comprensione.
Non è un caso che il libro d’arte
presentato come catalogo della mostra si concluda con la seguente annotazione
di Wittgenstein: “
Con i miei numerosi segni d’interpunzione, ciò che in
realtà vorrei è rallentare il ritmo della lettura. Perché vorrei esser letto
lentamente (come leggo io stesso)”.
Si tratta di una considerazione
idealmente applicabile anche all’opera di un artista come Fato. In fiduciosa
attesa di nuove conferme di simile qualitĂ da parte sua.