Artista emergente,
Ma Liang (Shanghai, 1972) porta questa favola sempre con sé. Il suo nome, infatti, è lo stesso del “pittore magico”, motivo per cui forse ha scelto di firmare le sue opere con il timbro a secco a forma di cavallo. La fluidità del ritmo con cui costruisce le storie è il leitmotiv delle quattordici fotografie esposte per la prima volta in Italia alla galleria Co2, che per l’occasione festeggia la nuova apertura nel quartiere di Borgo Pio e, parallelamente, il debutto del periodico
Co2 contemporary News.
Immagini che scorrono come sequenze di un film, in cui il confine della percezione è leggero e mutevole. Fotografia, grafica e pittura sono le contaminazioni più evidenti, confermate dall’utilizzo della stampa digitale
giclée a getto d’inchiostro, che asseconda l’atmosfera pittorica. Poi c’è l’incontro tra cinema e teatro – mondi a cui l’artista è legato, sia per i percorsi professionali che per una certa familiarità, essendo il padre regista e la madre attrice di teatro – che vanno a intersecarsi con il reale. Un’ambiguità che fa parte del gioco e che proietta lo spettatore nella dimensione onirica di
Endless Dreamers.
Il titolo della mostra è, del resto, la sintesi della poetica di Ma Liang: “
È l’idea del sogno che non finisce”, spiega la curatrice Silvia Cirelli, “
qualcosa di scorrevole, continuo, narrativo che non si limita al singolo scatto”. Opere concepite come piccole performance, in cui l’autore non è mai protagonista. Con meticolosità prepara i set fotografici, scegliendo costumi, oggetti, location che non sono meno importanti dello scatto finale.
La teatralità della messinscena è evidente in
Unforgivable Children (2005), ambientata in un parco giochi (oggi demolito) alla periferia di Shanghai. Da bambino, Ma Liang giocava lì, tra le giostre e i finti castelli che fanno da quinta alle azioni di personaggi il cui volto è celato dalla maschera. Emozioni e sentimenti non hanno colori politici né tratti somatici; appartengono a una popolazione universale. Altrove sono la malinconia o l’esuberanza del surreale a scandire il tema del tempo. In
Nostalgia (2006) – sulle tonalità di un paesaggio desolato – si parla del ricordo legato alla parentesi dell’infanzia. Frammenti di passato che non torneranno più. Mentre
Deja vu (2005) mette di fronte all’inquietante sensazione di qualcosa di già vissuto e riproposto sotto forma di sogno o incubo.
Giocata infine su contrasti più netti è
Book of Taboo (2006), di cui fa parte anche l’ironica immagine con i due personaggi vestiti da Superman, sullo sfondo urbano dei grattacieli di Shanghai. Un gioco sull’identità, in cui gli stereotipi sono azzerati. Il ruolo da Superman non spetta certo al ragazzo che appare un po’ ammaccato, piuttosto alla fanciulla, più alta di lui di una spanna e con il mantellino rosso svolazzante.