Se generalmente la realizzazione di una seconda parte si caratterizza per l’insufficiente qualità rispetto all’inizio di una saga, la mostra
Nel formare #2 costituisce un’eccezione che conferma la regola. Dopo l’esordio della rassegna -che proponeva un gioco linguistico tra gli sguardi di
Bassiri,
Kounellis e
Nagasawa– il secondo appuntamento scioglie l’iniziale eterogeneità , per determinare un dialogo congiunto fra i tre lavori appositamente realizzati per lo spazio, in quanto manipola la percezione e l’equilibrio dello spettatore. Il testo proposto da Mauro Panzera, carico di una particolare concezione dell’arte contemporanea, innesta ancora un universo di interrogativi, ai quali gli artisti devono rispondere coerentemente con la propria visione dell’arte.
Il riscontro è introdotto da
Jan Dibbets (Weert, 1941; vive ad Amsterdam e San Casciano dei Bagni) -tra i principali esponenti dell’arte concettuale europea- che, consacrando il ruolo basilare all’idea più che all’opera compiuta, incentra la sua ricerca sulla problematica della percezione e dell’illusione dei sensi. In mostra il lavoro
Correzione di prospettiva, dove una figura geometrica regolare è deformata dall’accentuata angolazione, provocando una forte alterazione della percezione ottica. Al centro della mostra, invece,
Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, 1938) risponde con
Diagonali incrociate. La sua ossessiva e metodica ripetizione di uno stesso motivo, attraverso un “
outil visuel” invariabile, agisce sullo spazio e soprattutto sul contesto nel quale viene svolto il lavoro. E il conseguente allargamento del campo visivo si conferma come strumento visuale per la lettura, oppure per lo sconvolgimento, dello spazio architettonico.
Infine, il capolavoro di questa mostra,
A perdita d’occhio di
Giulio Paolini (Genova, 1940; vive a Torino). Un’opera strabiliante in cui, fedele alla sua poetica della citazione, della duplicazione e della frammentazione, l’artista stabilisce un rapporto tra la consistenza dei vuoti e la leggerezza dei pieni. Divagando sul comportamento che all’interno dello spazio espositivo assume lo spettatore, l’immagine centrale avanza attraverso un flusso di intenzioni e proiezioni, “
in un intreccio di linee che evocano altre superfici e altre immagini disperse a perdita d’occhio”.
Così, la seconda serie di risposte diventa una vera attinenza tra linee e concetti che, nonostante la diversità di cromie ma soprattutto di propositi, ne amplificano il processo e il campo di azione. In modo da provocare, quasi sfiorandosi, una visione d’insieme, che sacrifica il lacerante bisogno dell’originalità per cercare la risposta, intima e personale, nella reazione di ogni spettatore.