La storia del perfido Duca Barbablù e del suo castello intriso di sangue presta notevoli spunti visivi per la trasposizione in scena. L’opera di Béla Bartók è stata riportata sul palco alla Scala di Milano, lo scorso maggio, per la regia di Peter Stein e la direzione di Daniel Harding.
Per quest’occasione,
Gianni Dessì ha ideato le scenografie che incarnano le atmosfere sospese e tetre, utilizzando videoproiezioni articolate e coinvolgenti. Durante la prova generale dello spettacolo,
Claudio Abate (Roma, 1943) ha realizzato una serie di scatti che testimoniano la grande suggestione generata dall’intrigante trama, enfatizzata da seducenti allestimenti scenici. Il lavoro di Abate da anni si muove a stretto contatto col mondo dell’arte. Come
Ugo Mulas ieri, oggi Abate è considerato l’interprete privilegiato degli artisti a cui è legato da amicizia e stima professionale.
Dagli anni ’60 la carriera del fotografo romano prende le mosse immortalando i lavori di
Kounellis e seguendo i passi di
Schifano,
Pascali e dell’eclettico
Beuys. L’arte del tempo presentava una spiccata componente performativa, in rapporto alla quale lo scatto assume non solo il valore di testimonianza, ma anche e soprattutto interpretazione fortemente soggettiva che, come nel caso dell’installazione con i dodici cavalli di Kounellis all’Attico di Sargentini nel 1969, è destinata a rimanere l’unico frammento superstite, originale e irripetibile, nella memoria collettiva.
In questo senso è appropriata la definizione di Bonito Oliva, che considera il fotografo romano “
lo storico dell’istante”, il cui lavoro si sostanzia nel dare “
all’effimero il supporto di un’immagine a futura memoria”. La monografica che si è tenuta al Mart nel 2007 ha raccolto e messo in evidenza il ricchissimo percorso artistico e umano dell’“occhio meccanico” di Abate.
Anche in questa selezione, presentata nell’originale spazio di Doozo, il fotografo romano restituisce in un racconto per istantanee i momenti più significativi dello spettacolo, ponendo in risalto i fondali virtuali realizzati da Dessì. Le scene sono dominate da elementi geometrici, semplici e asciutti, e perlopiù monocromi, che segnano le direttrici delle immagini.
Gli sfondi sono neri e cupi, profili di case appena accennati nell’oscurità, squarciati improvvisamente da finestre di colore puro. Una scala sospesa nel vuoto taglia diagonalmente la scena, una banda rossa su cui sembrano galleggiare le figure, la cui solitudine e disperazione risalta in queste immagini, che si tramutano in
tableaux vivants.
Gli scatti rubano attimi in movimento, isolandoli in momenti unici ed emozionanti.