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Una telecamera segue un percorso, inquadra il terreno. È un terreno fangoso, pieno di foglie secche, di quei terreni in cui le scarpe affondano se non si sta attenti, in cui le scarpe si sporcano irrimediabilmente. La telecamera si muove ballerina ed incerta, come a seguire un percorso, come a cercare una traccia. È la telecamera di Love, la prima installazione video che apre la prima mostra personale che la galleria romana Federica Schiavo dedica all’artista Gabriele Porta. È sfaccettato, a tratti complesso, l’amore puro di cui parla l’artista, è debole e fortissimo, è intenso e pericoloso, potente e svilente.
È l’amore da palpitazioni – e palpeggiamenti – alla versione mocciana di Tre metri sopra il cielo dei due dittici The last tought in kid’s lives is love, le stampe su alluminio dorato innalzate come fossero immagini sacre: al loro fianco l’essenzialità dell’oro (Untitled) e la potenza traslucida in un messaggio (The impurification has begun), che sottolinea la mancata purezza di quelle immagini.
È l’amore pornografico, quello che stride e infastidisce di Unitled (The amazing love in someone who does not believe in the possibility of genocide), che sembra strappato dalle pagine di una rivista a luci rosse, di quelle che si nascondono da ragazzi sotto il letto, di quelle che un po’ si rifiutano un po’ attirano l’occhio del voyeur.
È quello contrapposto delle due sale Untitled (My wedding will be a funeral) e Untitled (My funeral will be a wedding). Da una parte un video ambientato in Kenya che l’artista ha trovato nell’archivio della BBC e vede la messa a morte di tre persone accusate di stregoneria, in cui il candore dei fiori bianchi si confonde con la violenza stridente dei gesti. Seppur volutamente privo di audio, il nastro sembra voler urlare attraverso lo schermo. Dall’altra la delicatezza fragile dei fiori kenyoti che l’artista sceglie come protagonisti di un funerale che può diventare bello come un matrimonio: quei fiori sono scuri, neri, eppure ancora una volta lo spray dorato glitterato riesce a infondere loro una luce diversa, una potenza diversa. Quei fiori, creature della stessa terra che distrugge l’uomo, i fiori che sono simbolo di una fine, di una morte, possono far crescere nuova vita e accompagnare la natura umana in nuovi passi di felicità.
Un ultimo sguardo, prima di lasciare lo spazio va di nuovo a quel video iniziale. La telecamera segue una scia rossa tracciata sul terriccio, una pista che si trasforma in una catena di cuori. Eppure somiglia tanto a quelle immagini rubate ai ritrovamenti di un corpo martoriato, di un cadavere non sopravvissuto a uno stupro. Quell’amore (in)puro è ancora a cavallo tra attrazione e repulsione.
Alessandra Caldarelli
mostra visitata il 4 dicembre 2014
Dal 21 novembre 2014 al 15 gennaio 2015
Pure Love
Gabriele Porta
Federica Schiavo Gallery
Via Piazza di Montevecchio, 16 – 00186 Roma