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Gianni Piacentino (Coazze, Torino, 1945) racconta che il punto di snodo della sua ricerca estetica fu quando, nel ’68, acquistò una vecchia motocicletta – una Indian 600 del 1938- e si mise a restaurarla come aveva appreso a fare in un’officina torinese specializzata. Con un perfezionismo certosino che si univa alla passione per la velocità, per la meccanica dei motori, per le gare in sidecar, per gli aeroplani, per la lucentezza dei colori metallici di origine industriale. In quegli anni, l’egemonia culturale americana era molto forte, anche in campo artistico. C’erano l’arte Pop, i cenacoli minimalisti come il Finish Fetish californiano, la Land Art, ed anche in Italia nasceva, di riflesso, un movimento che il suo ideatore e mentore, Germano Celant, ispirato dalle scenografie essenziali di Grotowski, chiamò Arte Povera. In questa variegata e stimolante temperie si era svolta, prima del citato evento “iniziatico”, l’attività del volitivo artista torinese che già guardava però, come sospinto da un precoce affinità elettiva, all’algido rigore formale di Klee, di Mondrian, di Van Doesburg.
Gianni Piacentino, Works 1966-2017, vista della mostra
Oggi, grazie all’iniziativa della Galleria Mucciaccia di Roma, possiamo apprezzare (sarebbe meglio dire “contemplare”), sintetizzato in una trentina di opere – prodotte dal 1966 fino agli ultimi recentissimi inediti – un itinerario, a tratti solitario e defilato, che sorprende per coerenza d’ispirazione e per una coltivata sapienza entomologica del dettaglio e della decorazione. “…Ricorderò sempre il momento in cui ho visto un Raffaello al Louvre. In quell’esatto momento ho capito che non è possibile dimenticare il bello nell’arte”, rivela in un’intervista riportata nel ricco catalogo della mostra, lasciando cautamente affiorare il fil rouge della sua ostinata ricerca: la bellezza. Ci aggiriamo pensosamente tra le opere esposte: strutture geometriche primarie calate in oggetti dal design apparentemente quotidiano, grandi campiture monocrome di colori tecnologicamente ricercati, raffinati prototipi di veicoli aerodinamici, eccentrici e lussuosamente inutili, dipinti finemente decorati – dichiarate citazioni di francobolli da collezione degli anni ’20 e ’30 – che omaggiano i fratelli Wright, costruttori del primo aeroplano funzionante, e le audaci trasvolate atlantiche di Italo Balbo. Frequente la presenza del logo GP, apposto come un marchio di fabbrica. È singolare come la connotazione “industriale” sia qui associata, come un valore aggiunto, all’unicità della creazione artistica piuttosto che – come di solito accade – alla produzione massiccia del consumo seriale. È, questo, un altro tratto peculiare della ricerca estetica di Piacentino che – unendo l’insonne intuizione dell’artista alla sofisticata tecnologia dell’artigiano specializzato – sembra inseguire un’iperuranica idea di bellezza e, raggiuntala, tenta di fissarla, di catturarla costringendola in forme concrete, materiali: preziose, scintillanti, geometriche epifanie di un lucido sogno di perfezione.
Luigi Capano
Mostra visitata il 16 dicembre
Dal 23 novembre al 15 gennaio 2018
Gianni Piacentino “Works 1966-2017”
Galleria Mucciaccia
Largo della Fontanella Borghese 89, Roma
Info: tel. 06 69923801, www.galleriamucciaccia.com