Degli occhi è rimasta un’essenza luminosa. Contrasta con l’impasto caldo dei volti, attraversa – nitida – lo sfondo nero.
Un oscuro scrutare (il titolo cita l’omonimo romanzo di P.K. Dick e tra i volti – se cercate bene – c’è anche quello dello scrittore…) – opera di Stefania Fabrizi (Roma, 1958 vive e lavora a Roma) – è visibile ancora per qualche giorno nello spazio della galleria Maniero: quarantasette tele (in ognuna un volto) su una parete completamente nera, un’installazione semplice – ma di grande effetto – che riesce ad evocare una dimensione insondabile.
L’insieme di volti è una successione serrata, un incastro inquietante di
Da Boltanski (confronto quasi obbligatorio…) a Richter (per quest’ultimo ci sembra opportuno citare 48 Porträts, 1972-1998) possiamo rintracciare precedenti illustri: al di là delle affinità o delle fonti probabili, di quest’opera colpisce l’intensità e – ci sembra – la capacità di calibrare qualcosa – che sta tra la memoria, la pre cognizione, la rivelazione improvvisa e lancinante – che facilmente rischiava di diventare didascalico .
Le teste emergono da un’oscurità che sembra ribollire, un bagliore paonazzo tutt’altro che rassicurante ne svela le fattezze: volumetrie solide, statuarie – costruite con quella tecnica ineccepibile che è qualità costante nell’artista – che, questa volta, sembrano dissolversi, sbriciolarsi, svelare un’improvvisa fragilità.
Paiono consumarsi, tra molta ombra e poca luce abbagliante. Resistono – invece – i due nuclei freddi e brillanti che hanno sostituito gli occhi in ogni volto. E da un volto all’altro lo stesso chiarore rimbalza senza soluzione di continuità.
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se l'istallazione era in uno spazio migliore..più grande... una galleria migliore...allora poteva essere un capolavoro. comunque brava lo stesso.