Il tema –quello del ritratto di gruppo- è affascinante e complesso, il periodo scelto –che ha più o meno i due estremi cronologici negli artisti indicati nel sottotitolo (con uno slittamento di qualche decennio)- è vastissimo: quattro secoli, all’incirca, in cui accade di tutto, in cui l’identità del gruppo ed i suoi canoni di rappresentazione continuamente si definiscono e ridefiniscono.
Persone sfida le insidie che un allestimento di questo tipo comporta (prima tra tutte quella di essere una mostra difficile da seguire) e ne esce a testa alta: evita il percorso strettamente storico, accosta –in sette sezioni- quadri e fotografie (con autori che vanno da Man Ray a Walker Evans), arte contemporanea e capolavori fiamminghi. Sul filo di un’idea. Che il gruppo in posa stia lanciando consapevolmente un messaggio. E che altri ne lascia filtrare contemporaneamente, a dispetto degli stessi protagonisti.
Così le cerimonie religiose diventano un palcoscenico del potere: sia che si tratti una visione d’insieme imponente (è il caso delle Celebrazioni del 13 marzo del 1622, dipinte da Andrea Sacchi) o che il pittore preferisca un close up per mettere a fuoco gesti, espressioni, dettagli (basta guardare l’attenzione capillare di Pier Leone Ghezzi, quando dipinge la nomina a cardinale di Giulio Alberoni, nel 1724). Nella prima sezione –dedicata alla rappresentazione di Eredità e continuità del potere– dinastie regnanti (i Borbone ritratti da Angelika Kauffmann), episodi storici e qualche curiosità: come la Processione dipinta da Pelizza da Volpedo nel 1892, che anticipa –strano ma vero!- la struttura del Quarto Stato. O come –tornando indietro nel tempo- il massacro dei francescani a Nagasaki, raccontato dal genio cupo di Tanzio da Varallo e dall’acquerello di un anonimo artista giapponese.
Nel ritratto c’è il riconoscimento di un’autorità politica o economica (tele con consiglieri, giudici, tesorieri, ma anche dirigenti d’azienda…) oppure può funzionare come certificazione di uno stato sociale elevato: ecco i gruppi di famiglia schierati, irrigiditi in una posa formale, qualche volta raccontati nell’intimità interno domestico. Adulti, soprattutto, ma anche bambini: i fanciulli De Franchi per esempio, dipinti con vesti sontuose da Antoon Van Dyck. Composti, ineccepibili, già grandi.
Ultime tre sezioni dedicate ai Diversi (dai freak di corte dipinti da Agostino Carracci, ai quaccheri di Alessandro Magnasco, al bambino che va male in matematica, tranche de vie in una scuola di fine ottocento di Bogdanov-Belsky), alla trasformazione del gruppo in una vera e propria identità collettiva (dal comizio di Turcato, alla partita di calcio di Carrà) alla degenerazione dei tanti contro l’individuo. Non più persone, ma un’unica massa, dai connotati terribili.
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