Un incipit di colonne tortili con vitigni dorati a rilievo. Un affollato percorso di stanze irregolari, zeppe di antichi arredi. Vi indugiano dromedari trasparenti, fucsia e arancio, e una giraffa blu. Germogliano sui ricchi tappeti, tra putti e vasi e specchi, vetrose palme e siepi dai colori squillanti; mentre sulla consolle intarsiata pulsa la fluorescenza del
Fulmine artificiale. Sono i metacrilati di
Gino Marotta (Campobasso, 1935), in mostra a Roma in varie sedi espositive, tra cui le gallerie antiquarie Benucci. Qui l’accostamento -a prima vista forzato- con gli addobbi barocchi rivela una singolare contiguità, se si considera punto focale della poetica marottiana l’integrazione dialettica
naturale/artificiale, propria dell’arte Cinque-Secentesca.
Dopo i preziosi encausti, i celebri bandoni e i piombi realizzati con la fiamma ossidrica, Marotta sperimenta dagli anni ‘60 -aderendo in modo del tutto autonomo al Pop- l’utilizzo del polimetilmetacrilato o perspex, a suo giudizio “
un materiale squallido usato però [provocatoriamente] in modo poetico e lirico per trovare un rapporto natura artificio”. Non una semplice azione metamorfica, quella dell’artista, ma di astrazione e sintesi.
Una riflessione sul mondo dall’infinitamente piccolo all’universo, sull’essere e sull’apparire. Il contorno di luce e colore che delimita queste forme animali, vegetali e/o enigmaticamente oggettuali abbraccia uno spazio vuoto in cui si coagula il significato nascosto della sua opera. Un territorio indistinto di “
risonanze arcaiche e archetipe” (Enrico Crispolti), sottratte con sottile malinconia alla memoria e al sogno.
Presenti anche i lavori dell’ultimo decennio, i “quadri” in metacrilato. Formati dall’accostamento su diversi piani di ritagli di perspex multicolore che, come scrive il curatore Maurizio Calvesi, “
si giustappongono e si incrociano con le loro voci ben intonate e trillanti”, creando un’iridescente profondità. Luminose scatole magiche, in cui la stessa aria che circola diviene elemento pittorico. I soggetti, spesso legati al paesaggio, ne propongono una rilettura originale, con la consueta freschezza che contraddistingue le opere dell’artista. Come
Il grande twister (2000), dove la lastra di metacrilato sulle tonalità del verde acqua è incisa dal vorticoso segno del laser.
Un’altra serie di lavori di Marotta, ancora più recenti e mai visti prima in Italia, è in esposizione nella nuova sede della galleria La Nuvola. Fra i tanti, datati 2004,
Omaggio a Ambrogio Lorenzetti,
Alla maniera italiana e, ancora,
L’albero del corniolo e
Una sottile metafora, dove nel gioco dei colori sgargianti -seppure con una qualità luminosa che li ammorbidisce- affiora una componente balliana e futurista.
Ancora natura: animali e piante artificiali, di piccole dimensioni, nell’altra sede della galleria. Un’arca di presenze cromatiche al limite dell’immateriale: l’armamentario mitopoietico della creazione marottiana. “
Attraverso lo specifico delle nuove tecnologie ho provato a rifare l’inventario del mondo”, afferma l’artista, “
il simulacro di qualcosa che forse tra un po’ di tempo non ci sarà più”.