La psicologia della
Gestalt è una corrente storicizzata, inauguratasi nel primo trentennio del secolo scorso in Germania e poi esplosa negli Usa dopo la persecuzione nazista. In Italia ne sono tra i più rappresentativi interpreti Fabio Metelli per gli studi nel campo della percezione visiva, il fenomeno detto “Triangolo di Kanizsa”, Paolo Bozzi, Giovanni Bruno Vicario, la
Psicanalisi di Cesare Musatti, Nino Di Salvatore e la sua
Scienza della Visione, la Scuola Politecnica di Design di Milano fondata nel 1954.
Saggi su saggi hanno sviscerato, codificandolo, tutto ciò che si può scientificamente affermare sull’impatto di ciò che è “fuori” su ciò che è “dentro”, su noi attenti o distratti osservatori della realtà. Ma l’opera di
Piero Mottola (Caserta, 1967; vive a Roma) aggiunge qualcosa alla pura sensazione emozionale scatenata da un determinato impulso visivo.
Formatosi nell’ambito dell’Eventualismo di
Sergio Lombardo – teorizzato a Roma alla fine degli anni ’70, studiava gli stimoli psicologici esterni e la teoria della pittura stocastica, costruita attraverso procedure matematiche complesse ed espresse in mappe di colori -, Mottola nel ‘94 inaugura una ricerca che parte dall’empirismo, chiedendo allo spettatore il massimo coinvolgimento sul piano percettivo e cognitivo, per arrivare al concetto con un valore aggiunto, mutuato anche dal suo essere eccellente musicista sperimentatore.
Quest’analisi multisensoriale, che conduce la sua ricerca nell’ambito delle scienze sociali, ha portato alla materializzazione della teoria in un avvolgente wall drawing, che riveste interamente le pareti della storica galleria Casagrande a San Lorenzo. Tutto è iniziato con il coinvolgimento di un cospicuo numero di persone, dalle cui risposte e, successivamente, mediante un procedimento inverso, Mottola ha individuato le cosiddette
Distanze emozionali e cromatiche, un sistema a dieci emozioni costruito misurando l’attivazione di 154 stimoli acustici naturali, artificiali, umani e animali. Senza scendere nei particolari di calcoli davvero cervellotici, per cui a un colore come l’arancio corrisponde ad esempio l’eccitazione – ma solo una particolare tonalità di arancio, realizzata mescolando fino a otto tinte diverse, secondo parametri e quantità specifici della mappa creata da Mottola – l’artista, con l’aiuto degli assistenti all’esecuzione Karolina Szewczyk e Mario Bruno, ha dipinto una sorta di grandi pixel rettangolari contigui.
A volte fusi tra loro fino a formare larghe stesure geometriche, a volte solo leggermente differenti per tonalità, a volte del tutto opposti o complementari, accompagnano in un viaggio dello sguardo che sale e scende, rientra e invade, si placa e si riaccende. Una “passeggiata emozionale”, più che vero e proprio “stupore”: la “partitura” è talmente equilibrata da non disturbare né meravigliare. Alla subitanea sensazione globale psichedelica – uno stordimento provato solo al primo impatto – pian piano si giunge a far pace col mondo, in un’atmosfera smorzata, specie orientandosi dove la predominante è di vellutati e variegati azzurri, per poi venirne immediatamente “contraddetti”.
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La mostra è molto bella e godibile, peccato che l'artista rovina tutto infilandoci un'enormità di informazioni scritte a matita sui suoni, sulle note, sulle emozioni della gente... e che pa**e!!
Abbiate il coraggio delle vostre azioni, se una cosa è semplicemente bella (e solo bella), non c'è bisogno di infilarci necessariamente una base concettuale.
Ma dove stà scritto che un artista si deve vergognare di un'opera bella punto e basta?