Grande aspettativa ha segnato l’apertura di Luce di Pietra a Roma. Per gli artisti invitati, per la concessa opportunità di visitare Palazzo Farnese e una delle cisterne romane di Villa Medici –solitamente non aperta al pubblico– e anche perchè la mostra, dislocata per varie sedi della città, rende piacevole la passeggiata necessaria per visitarla, stimolando inevitabilmente un’analisi sulla costruzione teorica del progetto, di riflesso a quella spaziale. Nesso evidente è la “francesità” delle sedi scelte: Palazzo Farnese e Villa Medici, abbiamo detto, e le chiese di San Luigi dei Francesi e San Nicola dei Lorenesi, da poco riaperta dopo i restauri.
Forse un po’ poco come trait d’union. Nelle intenzioni del curatore Henry-Claude Cousseau c’è la volontà di creare un percorso italo-francese nell’arte contemporanea e questo emerge chiaramente, ma un po’ si sente la mancanza di una connessione forte tra luoghi e gli artisti scelti, tra artisti francesi e romanità, o meglio tra questi e le caratteristiche note di luci e ombre che il curatore ravvede in Roma e di cui parla nel testo in catalogo. Ci si domanda, ovviamente, come si possa scegliere un contesto tanto caratterizzato senza proporre opere che giustifichino tale scelta, aldilà di una indubbia suggestione visiva. Tutti hanno lavorato sulla luce, ma resta il fatto che alcuni hanno ceduto al fascino
Ciò non toglie, comunque, il riconoscimento dovuto al lavoro complesso di Henry-Claude Cousseau e Marcello Smarrelli, curatore degli artisti italiani. È apprezzabile la scelta di offrire un tragitto che tenga presente le differenti modalità di approccio all’elemento luce. La presenza di Giovanni Anselmo, ad esempio, evidenzia la volontà di proporre una continuità storica e una coerenza tanto con l’uso della luce quanto con il percorso stesso dell’artista che, a San Nicola dei Lorenesi, espone l’opera Particolare, iniziata nel 1972.
La stessa coerenza personale dell’artista è in Elisabetta Benassi nel riferimento pasoliniano (ricordiamo You’ll Never Walk Alone e Timecode del 2000), anche se appare decisamente forzato il legame, dichiarato dall’artista, tra Ostia –luogo dell’omicidio di Pasolini– e le scene marine dei mosaici illuminati dai fari della sua Alfa Romeo GT Veloce 1975-2007 nei sotterranei del Palazzo Farnese.
Al contrario, è estremamente attenta al luogo l’opera diYann Toma che, sempre nei sotterranei –nella sala del cippo che segnava il limite di edificabilità a causa del rischio di straripamenti del Tevere– propone una suggestiva inondazione di lampadine spente, ma lievemente illuminate e mosse da tre lucette esterne. Ugualmente, lievemente suggestivo è il lavoro di Claude Lévêque il cui legame con Roma risale all’installazione dedicata a Pasolini e presentata a Villa Medici nella mostra Tutto Normale nel 2002. Ora, a Palazzo Farnese, lavora sulla Galleria Caracci, trasformandola in un luogo intimo e personale, senza tradire l’opera di Annibale Caracci che pure nasconde col procedimento della lumière noire/luce nera che annulla il colore, esaltando la luminescenza dei bianchi dei teli stesi, a coprire le pareti, e dei materassi su cui stendersi e godere dell’osservazione e della meditazione.
Tra i vari altri artisti, in ultimo dedichiamo un momento al lavoro di Jean-Baptiste Ganne nella cisterna a Villa Medici, il cui pavimento è stato completamente rivestito da monetine da 1 centesimo bagnate dall’acqua –per un totale dei 10.000 euro di budget a disposizione– e illuminate dall’alto da piccole luci che le fanno brillare. Un dubbio: polemica verso lo sforzo economico dell’operazione mostra o veramente l’artista, come ci viene detto, intendeva mostrare i diversi volti della Venere del Botticelli impressi sugli spiccioli? Speriamo nella prima possibilità.
federica la paglia
mostra vista il 22 marzo 2207
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per fortuna che ci sei tu, quella del commento sotto il mio, a dire ciò che è buono e giusto. l'opera della benassi è molto bella, intensa e diretta altro che i tuoi intellettualismi di maniera
brava Federica La Paglia! hai dato un resoconto lucido dell'iniziativa. inoltre un commento alle "opere" della Benassi: mai riferimento a Pasolini fu tanto scontato, superficiale ingenuo e pretestuoso. lasciatelo in pace Pasolini, se l'unico modo per richiamare la sua memoria sono stereotipi come il calcio e la macchina ! c'è bisogno di più delicatezza e di più cultura. non di dimostrazioni e saggi didascalici, su uno dei più grandi intellettuali del novecento. tutto ciò contribuisce al processo di appiattimento e superficializzazione che lo stesso Pasolini deprecava (e poi, per carità, i titoli in inglese!!!!!!!!!!): il problema è che non esiste più un pubblico (quello di cui parla Habermas) in grado di discutere davvero; grazie all'ingoranza dilagante ci si può permettere di citare e attingere con disinvoltura dalla grande storia letteraria tirandone fuori banalità, ricevendo pure il plauso da chi non ha capito nulla e l'etichetta di "giovane artista colta e intellettuale". e se proprio volete omaggiare Pasolini : Fabio Mauri docet!
Non si tratta di intellettualismi, ma presentare in maniera abbastanza elementare un problema grave che affligge l'arte contemporanea: la mancanza di confronto e il voler ad ogni costo giustificare lo status quo senza porsi mai degli interrogativi; oltre che attaccare senza argomenti chi prova ad aprire un dibattito, usando definizioni e parole scontate come "intenso" e "diretto" per commentare i lavori. L'intellettualismo semmai lo fa la Benassi: per comprendere il suo lavoro bisogna prima sapere che si ispira a Pasolini, che la macchina è di proprietà dell'artista ma è la stessa che guidava Pasolini, ecc. ecc. deve essere, appunto, supportata da una didascalia, un commento.
di sicuro pasolini si rivolta nella tomba, grazie alla benassi e ai vostri commenti!