È alla sua première italiana, con tutta la benevolenza di chi arriva pronto a far tastare con mano e valutare al grammo il peso della propria ricerca artistica. Un peso tutt’altro che piuma, dacché lei non conosce tirchierie quando l’arte (e i suoi dintorni) presentano criticità su cui sente di dover puntare il dito; potremmo tranquillamente dire che allargando le braccia a tanti media differenti, Adriana Lara (Città del Messico, 1978) semmai tende un po’ a strafare, col risultato che bastano pochi assaggi della sua personale da Indipendenza Studio perché risulti “saziante”. Al nome dell’artista fa eco quello della curatrice Eva Svennung, decisamente pantagruelica nel riportare una ricerca già di per sé parecchio sostanziosa e col vizio della bulimia. E che così come la ritroviamo smistata, opera per opera in uno spazio tanto caratterizzato e vasto qual’è quello della galleria romana, per prima cosa non riflette grande organicità, per seconda veste gli scomodissimi panni della retrospettiva che a tratti pare muoversi senza una direzione precisa.
Ma poiché non tutte le ciambelle riescono col buco, non è detto nemmeno che tutti i lavori e tutte le problematiche affrontate da un artista risultino pienamente convincenti. Tanto per cominciare i grossi tubi-casseri edili, Corner Tube, che Lara ha rivestito con tele che riproducono semplici ambienti tridimensionali dipinti basandosi sull’uso di tre colori. Concordiamo sicuramente sul fatto che così conciata l’immagine non sia più fruibile in toto, ma l’idea di un cilindro preso a prestito dai cantieri e divenuto pretesto per “forzare” la percezione dello spazio ricreato su tela di per sé pare un po’ una forzatura; e anche volendo valutare più alla base l’operazione, lo stesso inganno prospettico di un bianco, nero e grigio collassanti tra bi e tridimensione è tanto ovvio da non meritare grandi repliche.
Tutto prende un altro sapore quando la tematica incontra un’icona culinaria per noi italiani inaffondabile: lo spaghetto. Spaghetti giganti in puro lattice (l’odore è inconfondibile), ammucchiati al centro della sala o appesi ai muri; in realtà sono tubi che nella loro funzione comune contengono i cavi della banda larga, quella per cui molti nutrono un amore viscerale poiché fa da supporto ad uno dei nuovi bisogni fondamentali dell’uomo: collegarsi in internet. Istintivo quindi giocare con le coincidenze tra una gioia per lo stomaco esposta come feticcio-emblema del mangiare, cioè di un atto necessario alla sopravvivenza, e una ormai non meno indispensabile esigenza di essere “in rete”, di inviare e ricevere informazioni, della comunicazione quale condizione da cui nemmeno l’arte e gli artisti possono esimersi.
Altro ambiente, altra problematica, interpreti tre tele neutre e altrettanti laser da discoteca color verde che argomentano con semplicità l’idea di reiterazione visiva e di uno spazio pittorico non definito, in un’installazione in grado di lasciare il giusto spazio tra fruizione e coinvolgimento del pubblico. Ma se proprio dovessimo dare un premio (negativo, eh) non avremmo dubbi, se lo aggiudicherebbero i tre grandi telai sui quali l’artista ha fissato degli psichedelici tessuti industriali, già da lasciar perplessi in quanto intenzionale forma di ready made, ma che brancolanti tra tanti metri quadri sembrano pronti per l’ufficio oggetti smarriti.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 15 marzo 2014
dal 21 febbraio al 15 aprile
Adriana Lara – Let’s not jump into concrete
Indipendenza Studio
Via dei Mille 6 – (00185) Roma
Orari: da mercoledì a sabato, ore 14 – 19