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All’interno della programmazione da presentare in uno spazio espositivo, l’estate è da sempre stato un periodo difficile da occupare. Di solito si parte da una grande mostra che apra il nuovo anno a settembre, si creano forti progetti che sostengano l’onda lunga dei mesi invernali, si insiste ancora sulla stagione primaverile, ma quello dei mesi estivi sembra essere uno stop insormontabile.
È chiaro, l’estate iniziano le vacanze e in vacanza – prima o poi – vanno tutti, per cui a che pro presentare un progetto importante proprio durante la solitudine dei mesi più caldi? I musei e le gallerie internazionali lo fanno, perché non provare anche in Italia? Offrire un’eccezione a questa regola sembra essere possibile secondo lo spazio di The Gallery Apart a Roma.
«Ripensare l’idea di Summer Show: questa è stato il punto di partenza per costruire questa mostra. Anche l’estate può essere un momento di riflessione per gli artisti, per i collezionisti e – ancora prima – per noi galleristi» racconta Armando Porcari, direttore dello spazio assieme a Fabrizio Del Signore. «Basta pensare alla sovrapproduzione cui gli artisti oggi sono soggetti: tra progetti site-specific, stand nelle Fiere, nuove mostre per la galleria o idee che vorrebbero vedere realizzate, manca a volte il momento per fermarsi un attimo e riflettere sul percorso di evoluzione e crescita che hanno fatto negli anni». Il risultato di questo processo di attenzione è una serie di Selected Works, per la maggior parte mai visti in galleria, che riprendono i lavori di alcuni degli artisti della scuderia Apart presentati in diverse occasioni e in fasce di tempo distinte fra loro.
È il 2006 quando una giovanissima Luana Perilli partecipa assieme ad un gruppo di artisti al progetto Written city nato proprio con l’intento di raccontare la città di Frascati. In galleria sono esposti i collage preparatori del lavoro performativo presentato in quell’occasione dal titolo Welcome-Alone in public: l’artista ricopre le panchine del viale principale della città con alcuni zerbini che riportano la scritta ‘welcome’, un segno di benvenuto e di accoglienza, tipico anche dell’oggetto panchina, nato come luogo di incontro e di conoscenza. Dagli altoparlanti in sottofondo si ascoltano le voci di ragazzi che leggono gli annunci da una rubrica di cuori solitari, stridenti forme di solitudine rispetto al contesto aggregativo. Sempre in materia di relazioni sociali, vengono da uno stand presentato per MiArt le due ceramiche nate pensando alla possibile abitazione di api e formiche, classi di insetti in grado di costruire complesse piramidi sociali e di rispettarle al proprio interno contrariamente a quanto accade per l’essere umano.
Gea Casolaro, Forever Montecarlo, Orson Welles Terrasse Opera, 2013, stampa lambda su alluminio, cm 66×100
Continua la ricerca dell’immagine tridimensionale – pur mantenendo la bidimensionalità della fotografia – per l’artista Mariana Ferratto, presente con due serie di lavori diversi. Se per Io e Te, nata dalla raccolta di immagini trovate e poi ristampate su carta fotografica, la scelta di inglobare la cornice all’interno della foto stessa contribuisce a moltiplicare esponenzialmente la dimensione gioiosa e profondamente intima colta tra i soggetti fotografati – su due piani diversi, perfettamente colti nella propria singola identità – negli scatti presso la Gare d’Austerlitz e la Gare Saint Lazare scompare la figura umana, la luce colorata resta nell’ambiente esterno. All’interno della stazione quel tempo sospeso, fatto di addii e abbracci, di ciao e arrivederci, resta immerso nella penombra del bianco/nero, congelato rispetto a tutto ciò che accade al di fuori.
Nel 2014, invitato a partecipare alla mostra “Ce qui raconte la solitude” realizzata presso un’ex fabbrica di ceramiche di Marsiglia – luogo di riferimento per gli esuli che dall’Est europeo fuggivano il nazismo tentando la traversata verso gli Stati Uniti, Dominik Lang presentava una grande installazione site-specific, ottenuta dall’impronta lasciata da una composizione di mattonelle adagiate sul gesso fresco, che riportava una delle tante firme rinvenute in quel luogo di rifugio per tanti. Una sorta di Monumento ad un Intellettuale ignoto, rappresentante di tanti altri nomi e tanti altri volti. Ai piedi dell’opera a parete si trovava proprio Basement/Sous sol oggi in galleria in occasione di questa mostra: un tronco d’albero insiste alla base di un pavimento, forzandolo, sollevandolo. Come una radice che prova a rompere l’asfalto, così la nostra società in cui la forte matrice religiosa ha provato, nel corso della storia, a soffocare il pensiero critico, che esplode facendo sentire la propria voce.
Tornano in galleria anche i lavori presentati in occasione della mostra in galleria “Naked figures, dressed figurines” che vedono l’artista portare avanti la linea rossa senza soluzione di continuità con la produzione del padre, l’artista Jirí Lang. Nell’azione di ‘rivestire’ i disegni di nudi che erano stati prodotti dal padre, Dominik Lang applica dei tessuti trovati per caso proprio a Roma, sintetizzando un’azione che scrive una nuova stratificazione di memoria e significato sull’opera dipartenza.
Di Gea Casolaro viene proposto un lavoro totalmente inedito in Italia, visto una sola volta presso The Forbes Galleries di New York e voluto dalla Societé des Bains de Mer, proprietaria del casinò di Montecarlo, particolarmente colpita dalla serie Still Here, presentata dall’artista proprio in galleria. Su quel modello, la Casolaro torna a creare delle immagini che sovrappongano passato e presente, partendo proprio dai grandi personaggi dello spettacolo che avevano varcato la soglia dell’edificio. Ad accompagnare Orson Welles, Maria Callas, Salvador Dalì e Jean Cocteau ci sono semplici operai e fattorini, che anche in quegli anni d’oro avevano contribuito a rendere grande quel luogo.
Con il termine upper crust si definivano le classi popolari, destinate a differenza di quelle nobiliari, a meritare solo la crosta troppo cotta del pane, dunque la parte peggiore del tutto. Alessandro Scarabello riprende questa espressione che, nella cultura anglosassone, rimanda a quelle classi dirigenti di una nuova aristocrazia che tengono in pugno le masse abusando del loro presunto potere. Il risultato sono dei ritratti, tra quelli a figura intera e le piccole teste. sorprendenti nel loro sapiente uso del tratto preparatorio perfettamente coniugato con il tratto informale della pittura scura. Gli atteggiamenti impostati e finti, dettati da un senso di spiccata superiorità diventano per l’artista oggetto di scimmiottamento e presa in giro, arrivando all’apice della rappresentazione nell’autoritratto dell’artista, bendato in volto proprio in chiave magrittiana come uomo che non può essere sé stesso.
Conclude il percorso Marco Strappato che, ancora una volta, torna ad indagare il paesaggio nelle sue contemporanee declinazioni, lontano dall’essere sfondo, divenuto protagonista dell’attenzione volta dall’occhio. Pittura, scultura e fotografia, le tre grandi passioni dell’artista, si incontrano in questi lavori che inseriscono anche la ricerca di materiali sempre nuovi. In particolare, per l’opera già presentata in galleria per la personale dal titolo “Over Yonder” tenutasi a cavallo tra il 2015 e il 2016, Strappato ricorre alla lavorazione della gesmonite per realizzare i calchi di fogli che, come file accumulati all’interno della memoria di un computer, la nostra mentre accumula, archivia, seleziona.
Se l’estate dunque si possono fare mostre anche qui, la novità è che si possono fare anche bene, riuscendo a trovare una mostra dal carattere minimale e pulita nel gusto, inedita, come quando anche il Museo va’ in vacanza e lascia al proprio pubblico i pezzi mai visti del proprio caveau.
Alessandra Caldarelli
mostra visitata il 7 luglio
Dal 13 giugno al 22 settembre 2017
Selected works
Gea Casolaro, Mariana Ferratto, Dominik Lang, Luana Perilli,
Alessandro Scarabello, Marco Strappato
The Gallery Apart
Via Francesco Negri, 43 – 00154 Roma
Orario estivo: lunedì-venerdì 15.00-19.00
Info: info@thegalleryapart.it; www.thegalleryapart.it