A poco più di due anni di distanza dalla sua precedente mostra a Roma, Richard Long (Bristol, 1945) torna da Lorcan O’Neill per un’ampia personale inserita nel circuito espositivo del Festival Internazionale di Fotografia, appena inaugurato nella Capitale. Il collegamento alla manifestazione fotografica risulta invero piuttosto ristretto, dal momento che nell’esposizione, incentrata su due tipiche installazioni in pietra, compaiono solo quattro fotografie, per lo più stampe su carta di diapositive digitalizzate; nondimeno esso è utile per tentare una riflessione sull’importanza che la documentazione della propria attività riveste per questo artista inglese, tra i più rilevanti e riconosciuti dell’arte concettuale e ambientale.
Che Long non sia un fotografo è egli stesso a farlo presente, come è avvenuto nell’interessante incontro con il pubblico tenutosi presso la British School di Roma, quando ha anche riconosciuto espressamente la funzione “servente” della fotografia rispetto ai suoi lavori più propri.
Dalle camminate nella natura che, sin dalla loro considerazione nella storica mostra When attitudes become form curata dal compianto Harald Szeemann nel 1969, l’hanno reso famoso, fino agli interventi ambientali ‘in esterno’ con pietre e altri elementi naturali. Quello che a Long interessa è, piuttosto, documentare la propria opera in modo da renderla disponibile a un pubblico più ampio, come fa anche con le suggestive e concentrate descrizioni testuali di alcune camminate (disponibili nel sito internet dell’artista).
Ora, se in tale operazione è evidente un impianto tipicamente concettuale, incentrato sulla comunicazione dell’idea che sta alla base delle esperienze dell’artista, l’esposizione delle fotografie pare per certi versi presentare una sorta di questione irrisolta. Una tacita difficoltà nel conciliare un’opera personale tutta tesa all’esperienza della natura con le istanze più proprie del sistema dell’arte: l’esposizione nello spazio chiuso di una galleria e il conseguente inserimento in un circuito commerciale.
Si tratta di una difficoltà riscontrabile anche nella realizzazione romana di installazioni tipicamente ambientali (ad esempio la composizione di un cerchio di sampietrini, il tipico acciottolato che lastrica le strade romane) in un ambito circoscritto come quello della galleria, dove l’intenso magnetismo ancestrale di tali lavori, così come si sprigiona negli interventi a cui Long si è dedicato negli angoli più suggestivi del mondo, risulta necessariamente compresso. Assai più lievi e godibili, in questo senso, risultano invece le pitture di fango presenti in mostra, realizzate con una tecnica a cui Long ricorre sin dai primi anni Ottanta e di eleganza orientale nella loro concentrata immediatezza gestuale.
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Richard Long – Tiber
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