Omaggio dichiarato al pensiero di lingua tedesca, con un pizzico di rammarico, il percorso che
Fabio Mauri (Roma, 1926) propone nel foyer della Sala Sinopoli. “
Ho immaginato questo spazio come uno spartito musicale in disordine”, spiega l’artista.
I concetti hanno una loro fisicità, un impatto volutamente forte sullo spettatore, espressi come sono da grandi frasi proiettate sulle pareti ai lati della scalinata, sul pavimento e nei titoli stessi delle opere. “
Lo scambio continuo tra soggetto e oggetto forma una soggettività oggettiva di cui l’arte è cifra”, si legge su un lato della scalinata, e dall’altra fa eco “
l’esistenza è inverosimile rispetto a che? Appunto.. ”. L’enigma variabile della vita è modulato dalle pagine della storia, attraverso il dolore, la morte, la follia, la guerra.
In questo quadro, il cinema ha un ruolo fondamentale per Mauri, motivo per cui tra i lavori esposti c’è anche il “piccolo cinema”. Due simboliche sale cinematografiche sovrapposte, di quattro posti ognuna, con tanto di schermo su cui -come nella precedente installazione presso la galleria Volume!- vengono proiettati due film emblematici:
La ballata del soldato (1959) di
Grigorij Cuhraj e
Gertrud (1964) di
Carl Theodor Dreyer. “
La saletta è sotto/sopra perché considero il cinema un elemento della coscienza. Attraverso il cinema acquisiamo un’esperienza visiva molto certa. Senza il cinema non c’é storia, perché la storia -come testimonianza diretta- è minuscola rispetto alla grande esperienza, continua, della vita”.
Il gioco cromatico delle opere bidimensionali è tutto sul bianco e sul nero. Colori o, meglio, non colori simbolici per eccellenza. La serie di trentasei
Schermi completamente bianchi del 1958-59 e le immagini di
Manipolazione di Cultura, con i loro tasselli neri concepiti come una scala con i diesis sulla tastiera di un pianoforte, “
per rappresentare il male che è più alto o più basso”. Prima della fase delirante del periodo nazista, la cultura tedesca ha rappresentato il cuore della cultura europea, sottolinea Mauri: “
Abbiamo ragionato con Freud in una tasca e Einstein nell’altra, Marx nel taschino…”.
In mostra anche un’opera del 1972, con tanto di bicicletta vera legata con il lucchetto, a memoria di un momento particolarmente creativo che si respirava a Roma negli anni ‘70. Il gruppo “Ufficio del Consiglio per azioni” faceva capo a tre amici,
Maurizio Benveduti,
Franco Falasca e
Tullio Catalano, che portarono l’arte (mai come allora strettamente legata alla politica) fuori dai soliti circuiti di gallerie e musei.
Uno dei “luoghi” era proprio il cartellone pubblicitario che il gruppo aveva affittato a Porta Portese, davanti al posteggio per moto e biciclette, dove tra gli altri anche Mauri espose una sua opera. Per l’appunto,
Insonnia per due forme contrarie e di universo.