Il paradosso – questa volta – è rivestito di moquette rossa. La stanza d’artista creata da Atelier Van Lieshout (fondato nel 1995, Joep Van Lieshout è nato Ravenstein nel 1963) per il Magazzino d’Arte Moderna (è la seconda mostra del ciclo Altre voci, altre stanze a cura di Cloe Piccoli) ha le sembianze luccicanti di una scatola magica e l’inquietante precisione di un progetto in cui nessun dettaglio è stato tralasciato: Maxi Capsule Hotel Luxus è una camera d’albergo, ma è anche un micromondo autonomo in cui è stata prevista una risposta a quasi tutti i desideri; materializza l’eccesso e dimostra come in fondo non si tratta d’altro che di un processo di addizione.
S’accumulano i cuscini – forse il concetto di benessere passa attraverso la sensazione di morbido – , le bottiglie (saranno tutte rigorosamente di alcolici?) sono a disposizione nel frigo bar, le immagini del film che si potrebbe voler vedere scorrono nella televisione, si può decidere se farà freddo o caldo perché c’è l’aria condizionata… tutto appare troppo ed è piacevole e sconcertante allo stesso tempo.
Eccessivo, saturo di un rosso incandescente, che pare farsi beffe di chi prescrive nelle camere da letto colori tenui, questo parallelepipedo lucido contiene la stanza perfetta e perfettamente confezionata: una porzione di spazio circoscritta nella prevedibilità di alcuni istinti, di certe reazioni, di meccanismi inconsci, che irride la ricerca di spiegazioni assolute, che – dopotutto – non intende soddisfare il desiderio, ma i desideri, una somma approssimativa di casi particolari.
Con un misto di piacevole sorpresa, di euforico divertimento (e forse un senso latente di inquietudine) chi è all’interno può lasciarsi andare, sdraiarsi, rilassarsi; gli altri – rimasti fuori – possono dar un’occhiata dalle due finestre, due aperture da cui osservare una sorta acquario, in cui le persone sembrano sospese sul fondo rosso.
Il progetto della Maxi Capsule Hotel Luxus è esposto in un’altra sala della galleria. Rappresentata in scala, ‘scoperchiata’, definita dalle linee geometriche che determinano la visione in pianta, l’articolarsi del perimetro esterno, gli spessori, la sezione delle pareti, la stanza di Van Lieshout rischierebbe di essere schiacciata, di essere ridotta alla normalità, alla sdrucciolevole definizione di ‘qualsiasi’. Invece gioca con la prassi del linguaggio architettonico: il particolare di un incastro ingrandito è tanto assurdo quanto l’intera stanza – capsula rossa. Ed è altrettanto reale.
In mostra anche una selezione di disegni ad acquerello e alcune sculture, tra cui Turkish Chair (2002).
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