La ricerca artistica di
Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008) si è sviluppata per cinquant’anni seguendo con coerenza la dichiarata volontà di agire nello spazio che intercorre fra arte e vita. Prendendo le mosse dai collage di
Picasso e dalle opere polimateriche di
Schwitters, Rauschenberg ha orientato la pratica dell’assemblaggio di oggetti e materiali prelevati dal quotidiano al fine di riprodurre, in un’opera d’arte totale, il fluire della comunicazione e della vita in un processo di accumulazione, nel quale elementi della cultura di massa si mescolano a oggetti legati all’esistenza personale dell’artista.
Precursore della pop art, erede dell’espressionismo astratto, interprete del new dada: queste le posizioni critiche maggiormente condivise che hanno tentato di definire la poetica di Rauschenberg, che a tutte si collega ma in nessuna di esse esaurisce il proprio senso.
La realtà è restituita in frammenti, senza gerarchie di genere; l’artista mette in atto un continuo slittamento tra pittura e scultura, muovendo dalla superficie del quadro per allargarsi alla terza dimensione e porre in continuità lo spazio dell’opera (arte) con lo spazio del fruitore (vita).
L’estrema coesione che caratterizza la sterminata produzione di Rauschenberg -dai celebri
combine painting degli anni ’50 fino ai progetti più recenti, quali
Synapsis Shuffle (2000)-
permette di interpretare tutto il suo lavoro come una sorta di diario, di quaderno
in fieri che non aspira a giungere a una forma compiuta e definita, ma che si nutre dell’ininterrotto scorrere della vita.
La selezione presentata alla Galleria Mucciaccia è costituita da venti opere realizzate tra il 1973 e il 1987 su supporti di stoffa e carta, fatta eccezione per l’assemblaggio in ferro
Salsa verde Glut (Neapolitan) (1987). La serie di cinque carte bianche con collage di figure è stata prodotta durante un soggiorno in Cina nei primi anni ’80 e si nutre profondamente delle suggestioni della cultura visiva orientale. Del precedente viaggio in India sono invece memoria i prelievi di tessuti, accostati, appoggiati, stesi o appesi, come puri agenti cromatici; le stoffe diventano a loro volta supporto per ulteriori immagini, riprodotte con un procedimento a transfer a solvente che restituisce frammenti visivi e testuali come presenze evanescenti, fluttuanti sulle tele o filtrate da un velo di raso, una “brina ghiacciata”, come in
Send, della serie degli
hoarfrost del 1974.
Le opere in mostra segnano un momento di raffreddamento dell’approccio gestuale che connotava la prima fase artistica di Rauschenberg e il raggiungimento di un ordine formale rigoroso, come dimostrano
Platter, Airport (Room service),
Room service II o
Ringer (tutti del 1974). Qui la composizione si struttura geometricamente e ricorre l’inserimento di righelli e cravatte come coordinate spaziali che organizzano lo sviluppo del racconto.