Costituitosi a Parigi nel 1948 a margine di un congresso surrealista, il gruppo
CoBrA (acronimo escogitato dal poeta belga Dotremont a partire dalle città d’origine dei fondatori: Copenhagen, Bruxelles, Amsterdam) riuscì in poco meno di tre anni di vita a elaborare una notevole quantità di slanci creativi e attività organizzative, lasciando una traccia significativa nella scena artistica del dopoguerra. Una traccia animatamente colorata, dove gli spiriti dell’Espressionismo astratto di poco successivo contendono il campo ai lasciti di quello tedesco, condensatosi nel gruppo Die Brucke.
A distanza di sessant’anni dalla parabola creativa del CoBrA si può dire che, più ancora che per gli esiti creativi effettivamente raggiunti, questa sia da ricordare per l’attivistica freschezza, al limite dell’ingenuità: una sorta di sigillo d’autenticità di tutte le vicende novecentesche del genere, sconsolatamente mancante nelle professionalissime esperienze a noi contemporanee.
A mente fredda, gli esiti di cui si diceva appaiono in effetti tra loro assai scomposti, animati soprattutto da una poetica di liberatoria espressività che, se da un lato si ricollega alle pionieristiche determinazioni di movimenti precedenti – su tutti il Surrealismo, con cui non a caso CoBrA condivide l’interesse per la pittura dell’infanzia e dell’alienazione mentale -, dall’altra intende vitalisticamente reagire attraverso l’arte alla lunga notte dittatoriale e al disastro bellico da poco concluso.
La pittura, insomma, come esuberante energia creativa, al punto da far dire a
Karel Appel: “
Il mio tubetto di colore è come un razzo che descrive il proprio spazio. Io cerco di rendere possibile l’impossibile”.
I nomi di
Corneille,
Pierre Alechinsky,
Asger Jorn e del succitato Appel rappresentano senza dubbio le pietre miliari del percorso tracciato dal CoBrA; un percorso peraltro costellato dalla volenterosa partecipazione di numerosi altri artisti d’indubbio valore (un discorso a parte meriterebbe ad esempio l’attività dell’artista franco-algerino
Atlan).
In questo senso, la mostra in corso a Roma ha il doppio pregio di utilizzare il gruppo come referente ideale per presentare opere anche successive dei suoi protagonisti – si richiamano in particolare due ampie composizioni di Alechinsky e alcuni concentratissimi Corneille, dove la predilezione dell’artista per le forme fisiche del paesaggio si scioglie in un uso magistrale del colore – e al contempo proporre nomi per così dire minori, che pure del CoBrA hanno fatto parte. È il caso degli olandesi
Eugène Brands e
Lucebert o del tedesco
Siegfried Reich an der Stolpe, quest’ultimo in particolare da segnalarsi per il vibrante uso costruttivo del colore, organizzato su fondi neutri di contrasto.