Nella Città Eterna, dove tutto sembra bloccato e cristallizzato, da qualche tempo alcune iniziative di arte contemporanea finalmente escono, timidamente, dalle mura di gallerie d’arte private e musei e invadono persino i siti archeologici. E ogni volta, queste apparizioni di “arte pubblica”, ottengono notevoli risultati e ampia approvazione. Forse perché i monumenti coinvolti acquistano un certo soffio vitale, una loro voce, sembrano animarsi, rivivere e raccontare la loro storia. Si rinnova, così, e si mantiene vivo quel dialogo tra passato e presente, quell’osmosi necessaria affinché la memoria e l’odierno continuino ad attingere l’una dall’altro, rigenerandosi, di volta in volta, con nuova linfa.
E ben venga anche la quinta edizione della Notte Bianca, se avalla – a latere – realizzazioni come quella di Alfredo Pirri (Cosenza 1957; vive a Roma) nell’insolito scenario del Foro di Cesare (anche se proprio qui, nell’ambito del medesimo filone di installazioni chiamate “Un segno nel foro di Cesare” sempre a cura di Ludovico Pratesi espose Mario Merz). Questo nuovo lavoro dell’artista cosentino conclude un ciclo iniziato cinque anni or sono e che ha visto l’installazione di opere in diversi luoghi (la Certosa di Padula, l’Abbazia Novalese, la Fondazione Marino Marini di Firenze, Villa Guastavillani di Bologna e il Centro di Arti Visive Pescheria di Pesaro). Tutti gli interventi miravano a creare uno scambio tra lo spazio-contenitore e l’opera contemporanea, una sorta di corto circuito tra il confine reale –materialmente creato dalle strutture architettoniche– e l’infinito illusorio, falsamente evocato dal riflettersi dello spazio nello specchio. Con l’ingannevole sensazione di camminare precariamente sospesi in aria, come sopra ad una sottilissima lastra di ghiaccio, il senso di fragilità veniva ulteriormente rafforzato dallo scricchiolio della superficie riflettente.
Qui, però, lo specchio non ricopre l’intero perimetro della piazza forense, ma si va a posare sopra i resti dell’antica pavimentazione in travertino. In più, al contrario delle precedenti edizioni, Ultimi Passi sta proprio a indicare che essi -i passi- sono stati già compiuti da qualcun altro e perciò, stavolta, non è possibile camminare sopra al sottile e fragile falso sipario. L’installazione si può quindi osservare nella sua interezza dalla “terrazza” all’inizio di Via dei Fori Imperiali. E, da una certa distanza, la brillante cortina stravolge il mondo, lo riflette sottosopra, capovolto. Il cielo è in alto e anche in terra, le distanze vengono accorciate, tra le colonne sembra che sia rimasta imprigionata dell’acqua, o che sia stata posata la superficie rilucente di una vecchia armatura tirata a lucido.
Al calar della sera, i fari e le cinque “lampade” (bassi parallelepipedi bianchi con la facciata superiore di un peculiare rosso spesso utilizzato dall’artista), appositamente sistemate, illuminano precisi dettagli, individuati da Pirri stesso.
E su questa superficie, deformata e frantumata, segnata da innumerevoli tracce impazzite, da piccole ferite, da fitte tele di ragno, si riflettono e si moltiplicano le colonne, le modanature, le mura, come ad amplificare e raddoppiare, nel riflesso, la valenza della Storia. E, nonostante il variare del giorno e delle luci, lei, la Storia, rimane immutabile, poderosamente ferma.
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bellissimo.
ancora pirri
ancora si riflette nello specchio, ma li legge i giornali?
si riflette e si genuflette
ed estromette