Atomizzazione e dispersione aerea della struttura ossea. Parte da qui l’idea per la costruzione di una fisionomia del tempo, per un volto concepito come attraversamento e compenetrazione delle forme, espressione gassosa di un’espansione emotiva. Le tele di Angelo Bellobono (Nettuno, Roma, 1964) incorporano in profondità atmosfere musicali di cui potrebbero essere assonanza ideale. C’è di Björk l’atmosfera rarefatta, il senso dell’intimità, del sogno incarnato nell’aria: Vespertine, fra tutti, è l’album più vicino a queste tele, a Goccia drop, in particolare, dove sullo sfondo balugina un paesaggio islandese che sembra un trasognamento, una sonnolenza percettiva del volto in primo piano. Dei Radiohead c’è lo straniamento, la perdita di sé, il senso impenetrabile dello smarrimento, che nell’album kid-a, ad esempio, acquisiscono fisionomie sonore deliranti e liquefatte.
All’iconografia del ghiaccio, apocalittica nei Radiohead (si pensi alla grafica del booklet), si sostituisce quella di Bellobono, metaforica anch’essa, ma legata all’idea della transitorietà, della vanitas espressa in forme dissolventi. La bellezza imprendibile di queste tele è tutta giocata sull’equilibrio tra ripiegamento introspettivo e dilatazione emotiva dei soggetti: si percepisce lo stordimento del bianco come estensione della coscienza, lo sguardo liquido scorre sotto l’epidermide friabile.
Sono tele di grandi e medie dimensioni, dipinte ad acrilico, con una scioltezza gestuale in perfetta simbiosi con la perizia dei dettagli figurativi. Ad esse si aggiungono, non con la stessa efficacia ma con accortezza sperimentale, passaggi oggettuali interni ad un unico linguaggio, concepito per accumulazione.
Le installazioni disseminate all’interno della galleria rappresentano iceberg cedevoli, teatri di probabili battaglie, tragiche nella misura in cui sembrano non essere in sintonia, metafore della piccolezza e dell’accanimento. Fotografie digitali riflettono presenze intangibili mentre il video, Space runner, mostra un uomo in movimento costante su cartine geografiche instabili, metamorfiche.
Se in Emilio Cafiero l’introspezione è una propulsione ossea, un’emanazione interna del dissolvimento, per Bellobono, è assorbimento del soggetto, delimitazione sgretolata dal ritmo di adesione all’esterno e dal suo chimico alterarsi. Densità quindi, ma anche ironia. Appaiono nei dipinti: un volto che resta impigliato all’amo e un pesce, delineato con grafismo minimalista, che guizza verso una bandiera svuotata dall’interno e ridotta a grottesco simbolo nazionalista. A fare da legante, in queste estensioni metaforiche di forme pittoriche di per sé bastevoli a se stesse, c’è un forte rispetto per il silenzio. Mai sentito come annullamento o semplice ascolto, ma come percezione attiva del vuoto, abitabilità del nulla.
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daniele fiacco
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Bravo Angelo ma chi ha scritto questo testo è impazzito!!!
Poco chiaro
Complicato
Brutto
Se non il migliore sicuramente tra i più innovativi giovani "PITTORI" Italiani.
Angelo sei veramente bravo.
Eccolo!!!
complimenti! lavoro affascinante
complimenti ad angelo bellobono, questi lavori sono molto interessanti. di rara sensibilità. complimenti anche a chi ha scritto la recensione. diversa, intelligente.
Non sono daccordo con mister x. Mi complimento invece per il certo incedere del nostro recensore, poichè con il suo flash ha saputo cogliere l'imago delle opere di Angelo Bellobono. L'artista si frappone sicuramente tra la perdita d'identità filtrata dalle sue visioni acquee. Complimenti a Daniele Fiacco e all'artista. Pregevole presentazione!
ma siete tutti amici di famiglia?
Mosra pessima e lavori fragilissimi e giovanilistici... sembra un esistenzialista da post guerra mondiale. Bellobono... bellibrutti!!!!