Ancora una proposta artistica fatta di commistioni fra modalità espressive differenti, la fotografia e la pittura, è quella proposta da
Adriano Nardi (Rio de Janeiro, 1964). Tema dominante e ossessivo, il corpo della donna, con fotografia digitale che fa da base e supporto all’azione pittorica. Il materiale delle immagini è ricavato dal web, dalle pubblicità, dai magazine di moda e volutamente esalta una femminilità prorompente, sfidante, in cui labbra socchiuse, seni ogm, provocanti posture,
Moneta vivente rimandano ad alcuni ben noti simboli della pop art.
Su questi simboli femminili interviene l’azione della pittura; un tratto geometrico, spesso e magmatico, come in
Paesaggio Nudo 3, dai colori cangianti. Il colore avanza sui corpi come lava sulle dorsali di un vulcano, l’immagine femminile sottostante spesso s’intravede appena. Altre volte invece è uno squarcio, nella sua dislocazione lineare -con tanto di indicazione dell’orientamento sul retro del quadro-, una sorta di orizzonte visivo per sguardi sedotti dalla geometria dei colori (
Paesaggio Nudo 6).
Per decodificare appieno il percorso proposto da Nardi è necessario attingere a piene mani nelle proprie reminescenze classiche o addentrarvisi con rinnovata passione. In questa escursione pittorica sul corpo femminile, infatti, l’artista utilizza la feconda ispirazione fornita dal mito di Atteone,
cacciatore e nipote di Apollo, inesorabile vittima della bellezza non umana di Diana. Il desiderio terreno di Atteone di possedere la divinità viene punito con la trasformazione in cervo, la perdita della parola, strumento indispensabile per svelare la visione carpita della dea nuda che si bagna alla fonte sacra. La sensazione estatica, il rapporto con l’immagine fatta simulacro, è ulteriormente mediata dal lavoro di un altro artista, lo scrittore francese
Pierre Klossowski, che negli anni ’50 dedicò all’episodio di Atteone
Le bain de Diane.
Così, dal mito emerge l’effetto emozionale della visione, a cui si contrappone la lucida forza della pittura, la sua capacità di dominare l’immagine digitale e conturbante, la possibilità di proporre infinite letture, anche davanti all’esplicita ostentazione delle forme fisiche. Non è facile discernere le gambe in
Ge-Ehe-Man, ma certo è possibile intuirne il movimento con cui si piegano sotto le foglie.
Una volta in più, e in questa circostanza senza dubbio, si chiede al visitatore di preparare l’incontro con l’opera, immergendosi per qualche minuto nella lettura del terzo libro delle
Metamorfosi di Ovidio, lasciandosi minacciare dalla dea: “
Va’ dunque a dir di avermi qui veduta senza veli! Se pur dirlo potrai!”.
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Sarò io che sbaglio non vedo proprio la validità di questo artista, a me sembra un lavoro davvero scarsuccio e da parecchio tempo abbastanza uguale a se stesso. Chi lo sa, magari qualcuno è in grado di illuminarmi...
concordo....
confusa e felice...
meditate, meditate...