Nove sono i mesi di gestazione della donna per il concepimento di un nuovo essere umano; nove come simbolo del supremo amore divino nelle parole di Dante per la
Vita Nova, poiché quadrato di tre, simulacro cristiano della Santissima Trinità. Nove sono poi le Muse, figlie di Zeus e Armonia che, concepite in nove notti d’amore, rappresentano la personificazione mitologica delle Arti e delle Scienze.
Nove sono anche i vasi in argilla che
Bruno Ceccobelli (Todi, Perugia, 1952, vive a Roma) ha predisposto per la sua ultima installazione. Questi oggetti di semplice manifattura, realizzati dall’artista stesso, tracciano un semicerchio morbido, seguendo la sinuosità di una linea spezzata che curva da destra verso sinistra. Appoggiato a ognuna delle loro estremità, un volto di ceramica raku ne custodisce l’interno luminoso: una minuscola fiammella accesa sprigiona il calore del fuoco. Sotto questi vasi di diversa grandezza, Ceccobelli ha lasciato espandere un invisibile ghirigoro d’acqua, che disegna i suoi contorni casuali sul pavimento.
L’installazione segue la pulsione artistica dei suoi precedenti lavori e immancabilmente va colmandosi di simbologie concettuali, a partire dal numero dei vasi fino alla rappresentazione materica dei quattro elementi: terra, fuoco e acqua sono infatti visibili, seppur non in modo diretto, grazie a un’illuminazione fioca e affatto invasiva, alleggerita quel tanto che basta per lasciare al fruitore un individuale rivelamento dell’opera. E l’aria? Impossibile da plasmare in materia, la miscela di gas piomba nella stanza dalle tubature del palazzo e il suo suono rimbomba sui muri, scivola nell’acqua e ne increspa impercettibilmente la superficie, fino a divenire specchio della sua danza riflessa, proiettata lungo la parete centrale.
La trama di un percorso che somiglia al corso di un fiume lascia immaginare che “tutto scorre”, proprio come la vita di un uomo, o forse la vita
dell’uomo: i nove volti che coprono i vasi sottostanti corrispondono al calco del viso dell’artista. L’autoritratto in ceramica, lentamente consumato dal tempo della fiamma, rivolge lo sguardo verso l’alto dal corpo di terracotta su cui sembra crescere. I vasi, infatti, vanno dalla più piccola dimensione di ciò che può rappresentare un ipotetico fanciullo, per passare alla grandezza matura dell’adulto, fino a raggiungere la senilità minuta del vecchio.
Le tre età dell’uomo si moltiplicano dunque in un percorso artistico in nove tappe, all’origine delle quali vi sono i nove mesi di gestazione che hanno dato vita all’opera. Ed ecco che si riconosce nell’installazione di Ceccobelli la musa ispiratrice, celata dietro la simbologia numerica: quella sua espressività riassuntiva ed espansiva al tempo stesso, in grado di assemblare l’utilizzo dei mezzi più disparati, “
le più innovative tecniche compositive” (Gillo Dorfles), e coinvolgerli nel “fluxus” di un’arte dai lontani echi sperimentali neodadaisti.
Da fruitori si è così
Invasi da suggestioni tanto arbitrarie quanto simbolicamente indicate e, come in ogni allegoria, mai svelate sino in fondo.