Shirley
Verrett non può mostrare l’emozione: rischierebbe di uscire dal personaggio di
Lady Macbeth. Un breve passaggio visivo sull’orchestra scaligera, diretta da
Claudio Abbado (è il 1978). Poi la telecamera torna a inquadrare il volto della
soprano afroamericana. La Rai riprende l’opera di Verdi, momento dopo momento,
per tutti e quattro gli atti. A
Gian Domenico
Sozzi (Solaro, Milano, 1960; vive a
Milano e Noto, Siracusa) bastano 5 minuti e 24 secondi.
“
Accogliere
l’ovazione del pubblico, concedersi a esso, o rimanere fedele al personaggio e
alle esigenze narrative dello spettacolo?”, scrive Gyonata Bonvicini. “
Questa dicotomia rende proteico il
volto della cantante; si assiste a una battaglia estrema fra pulsioni
contrastanti e fortissime, fra la rigidità del corpo, come pietrificato, e
l’incontrollabile vivacità degli occhi. Questo vertiginoso crescere di tensioni
si sublima in una lacrima, che solo la sensibilità di un primissimo piano riesce
a cogliere. È qui che Gian Domenico Sozzi sceglie di concludere il suo
frammento”.
È un ritrovamento fortuito quello da cui nasce
Brava (2006), video riproposto allo Studio Miscetti
per l’edizione speciale della rassegna
She devil. “
L’emozione
fu molto grande”, ricorda Sozzi, “
per
cui decisi di proporla a un pubblico più vasto. Quello che m’interessa sempre è
che questa sorta di rimando sia mio in partenza, ma che poi cresca attraverso
la selezione degli sguardi degli altri”.
L’opera lirica è anche l’occasione per l’artista di rispolverare
il dramma shakespeariano, ricordando di avere in casa, da anni, il volume
Shakespeare e il melodramma romantico, tesi di dottorato di Fabio Vittorini, con un
intero capitolo dedicato a Macbeth. Dinamiche inesplorate, che aprono
l’orizzonte a una serie di nuove connessioni, rimandi, empatie, approfondimenti
che appartengono al modus artistico di Sozzi.
Mentre
l’ovazione cresce, sfiorando l’apoteosi, lo sguardo dello spettatore si sposta
sugli altri due lavori esposti in mostra, il collage
Io
Credo Applausi Finiti Per Me (2007) e
l’immagine fotografica di
Red Carpet (2009), installazione realizzata per la personale
Whispers alla galleria palermitana di Francesco Pantaleone.
Una
circolarità di elementi intorno alla relatività transitoria di un ideale – in
questo caso è il successo -, menzogna esistenziale, segmento temporale
destinato ad affacciarsi sul degrado.
Sarà
la stessa Verrett, a conclusione di un’infelice interpretazione della
Carmen di Bizet (nel 1984, sempre alla Scala di Milano)
che, intercettata da un giornalista lungo la traiettoria del camerino,
pronuncerà le fatidiche parole: “
Io Credo Applausi
Finiti Per Me”.
È su questa frase che si concentra Sozzi, ritagliando le lettere
da una stella filante a rombi colorati
(esplicito riferimento al binomio Arlecchino/carnevale) e incollandole su fondo
bianco.
“Mi piaceva molto l’idea di questo passaggio, che è anche un po’
quello del ‘red carpet’ che porta alle ‘monnezze’ che stanno al di sotto. La
stella filante è Arlecchino, perché se c’è una figura di teatro, per
antonomasia, che non ha mai smesso di avere applausi è – per l’appunto –
l’Arlecchino. Il carnevale è, comunque, di per sé quanto di più pregno di
malinconia ci possa essere e racchiude questa previsione di quaresima. Mi
sembrava che tutto tornasse, anche la scelta del materiale, che si porta
addosso la maschera”.