L’omaggio è ad Alberto Burri, nel decimo anniversario della morte. Sulle pareti anche le opere dei francesi Jean Dubuffet e Jean Fautrier (splendide le sue due piccole tele, Le torse nu (Otage) del 1943 e Le fruit ouvert del 1946), dello spagnolo Antoni Tapies, di Lucio Fontana.
Padri dell’Informale, questi artisti hanno portato una voce nuova all’interno del dibattito tra arte figurativa e astratta. Le loro sperimentazioni, che oggi accogliamo come una certezza, quando apparvero per la prima volta -cinquant’anni fa- furono vissute come provocatorie, addirittura oltraggiose, destando perplessità e scandalo. Con le loro opere materiche s’inverte il rapporto forma/materia: è la forma ad essere subordinata alla materia, non più viceversa. “Non soltanto, il dipinto, cessa d’essere una rappresentazione della realtà (come già nella ricerca astratta),” -scrive Maurizio Calvesi, curatore della mostra insieme ad Italo Tomassoni- “ma inclina a proporsi esso stesso come un brano o un campione di realtà, attestato come tale proprio dall’aggressiva consistenza della materia; il segno, il gesto ne fanno un campo d’azione, nel quale l’io dell’artista si incontra o si scontra con l’emergente fisicità del dipinto, stabilisce un rapporto di dualità esistenziale.”
La fisicità si manifesta in modi diversi –autonomi– fortemente intessuti, quanto agli artisti mediterranei, di riferimenti mitologici. I colori degli esordi sono tendenzialmente notturni, con accenni alle tonalità delle terre e sprazzi di luminosità espressi con il rosso e l’oro. La materia pittorica di questo nucleo di artisti –veri e propri pionieri– è densa e grumosa, irregolare: c’è chi come Dubuffet, Fautrier e Tapies mescola pigmento e catrame, intonaco, fango, calce, carta stagnola, sassolini; chi invece, come Fontana, con i suoi tagli e i buchi della tela, procede per detrazione nella ricerca di una compenetrazione con lo spazio circostante.
Burri –già dai primi Sacchi, apparsi intorno al 1950, poi con i Legni, le Plastiche, i Ferri– usa vinavil, sabbia, pietra pomice, finché non interviene direttamente sulla tela, soprattutto con i sacchi di juta e il cellotex, usando anche il fuoco. Gradualmente assistiamo alla metamorfosi della materia pulsante -proiezione esterna di contenuti esistenziali- che si contorce, si agita, si consuma. Il colore arricchirà le tappe successive di questo percorso materico: a partire dagli esponenti della contemporanea Action Painting americana (Cy Tombly
Nutrendosi di colore, la materia esce dalla bidimensionalità della tela, trovando una sua definizione volumetrica nello spazio. La lezione di Burri, energica e fresca, libera da ogni retorica è lì, nei lavori di Anselm Kiefer, acclamato artista del nostro tempo, nei suoi piombi animati da elementi naturali. All’artista tedesco l’onore del gran finale con l’evocazione del mito -la maga Circe (Kirke)- che nella sua scultura in vetroresina ha, al posto della testa, porcellini di terracotta imprigionati nella gabbia di metallo.
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Adoro Burri e l’informale, tutti gli artisti dell’informale “storico” e attuale. Ho ammirato in mostra l’incredibile Grande Sacco del 1952 e opere bellissime di Fontana, Cy Twombly, Rotella, gli stupendi Rauschenberg, la Venere degli stracci di Pistoletto , le mosche in formalina di Hirst, tutti artisti che hanno un rapporto speciale con la “materia” , come cita il titolo della mostra. Artisti che ci hanno insegnato ad osservare le forme della materia senza intermediazioni, a trovare la bellezza nel ..rifiuto.
Così scriveva Lidia Ravera di Kounellis :
“ ho amato quella sua voglia monella e non guaribile di sconsacrare la visione autorizzata e insegnare ad osservare da soli, senza didascalie e fanfare tutti i giorni. Le case, le cose, i mucchi di pietra, il carbone, gli uccelli feriti, il fuoco, il cotone, gli stacci. Poiché siamo tutti autorizzati a cogliere i dettagli se vogliamo”
Veniamo al dunque : CHE CAVOLO C’ENTRA Joseph Beuys in questa mostra??? La mostra è curata da Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni; quest’ultimo, molti anni fa, organizzò un incontro di Burri con Beuys a Perugia ma pare che i due…non si siano neanche parlati, l’uno restio alle parole “sono le opere che parlano” l’altro (Beuys) parolaio ( e non sto affermando di non apprezzarlo) . Qual è, mi chiedo, il senso di proporre le lavagne di Beuys in una mostra sulla materia?? Chi me lo spiega??
per la precisione, a parziale rettifica di quanto detto precedentemente, l'artista Nuvolo(Giorgio Ascani) non è stato allievo di Burri ma bensì suo aiuto nello studio di via Margutta, oltre ad essere stato suo amico.
Burri è a mio avviso indiscutibilmente assieme a Fontana il più grande artista Italiano del dopoguerra.
Però avrei avuto piacere che Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni avessero inserito in mostra artisti ed opere attinenti al grande artista Burri e più precisamente il suo validissimo compaesano Nuvolo(Giorgio Ascani) già suo allievo ed assistente di Ettore Colla,lo spoletino Piero Raspi che con la materia c'entra proprio un bel pò tant'è che con le sue opere fine anni 50 e 60 oltre ad essere vicino all'opera di Burri e Tapies rappresenta quel che di ottimo c'è stato di informale in Italia, inoltre il fabrianese scultore Edgardo Mannucci amico di Burri ed infine tutti si aspettavano che di Giuseppe Uncini ci fosse un opera attinente al lavoro di Burri cioè una "TERRA" e non un cemento che invece rappresenta il passaggio successivo dell'artista(Uncini recandosi a Roma negli anni 50 grazie a Mannucci conosce Burri ed inizia a lavorare creando opere informali di una qualità e bellezza straordinaria utilizzando cemento, terre, sabbia, olio e tempere , al riguardo ricordiamo la mostra collettiva tenutasi a Francoforte sul Meno nel 1957 abstrakte italienische kunst ).
Per concludere sposando appieno la considerazione del mio predecessore cosa c'entra in questa mostra joseph Beuys?
mi sa che qualcuno ha toppato un bel pò!